il manifesto 10.11.16
Bersani e la mucca: «Renzi, basta con Blair, meglio Sanders»
Democrack.
 L’ex segretario: «Dopo le tre sconfitte in Friuli Serracchiani mi dice 
come devo votare io?». La ’trumpata’ ricompatta i progressisti del No 
«Dopo il voto mai più imitatori della destra liberista»
di Daniela Preziosi
ROMA
 Il disastro è storico, la «trumpata» è una botta forte, ma la sinistra 
non renziana si risveglia ringalluzzita dalla vittoria di Trump. Che 
finisce per essere l’occasione di un ricompattamento dell’ala gauchiste 
del fronte del No.
Inizia Pier Luigi Bersani in mattinata, 
intrattenendosi con i cronisti alla Camera: «La mucca nel corridoio sta 
bussando alla porta», avverte. La metafora è nota solo agli appassionati
 del genere. Nei giorni scorsi l’ex segretario Pd aveva parlato di «una 
mucca nel corridoio», per significare, nel consueto bersanese, il 
malessere popolare e il pericolo delle destre montanti. Quella volta si 
era attirato la consueta salva di sfottò dal fronte del Sì.
Stavolta
 invece fra i suoi avversari interni tira un’aria diversa. Un’ariaccia. 
Bersani insiste: sarebbe stato meglio Sanders, l’anziano leader 
socialista, «il centrosinistra si dia una mossa, esca dal blairismo frou
 frou e tiri su delle bandiere di protezione, degli interessi che vuol 
difendere e dei concetti di uguaglianza». L’ex segretario accusa Renzi e
 i suoi di scherzare con il fuoco e di favorire il populismo xenofobo e 
razzista di casa nostra: «Ho sentito il vicesegretario Serracchiani che 
il giorno dopo avere perso Pordenone, Trieste, Monfalcone si prendeva la
 briga di discutere su quel che devo fare io al referendum».
Bersani
 scommette sulla vittoria del No e sul successivo smottamento interno al
 Pd. Intanto oggi lo shock nel partito è tale che per la prima volta dal
 fronte del Sì contro di lui non partono i consueti sberleffi. In realtà
 nella mattinata sui social network qualche voce aveva provato a usare 
la sberla americana a vantaggio della vittoria del Sì. Con il risultato 
di cadere in contraddizioni impacciate, e di finire di fatto con il 
prendersela proprio con quel Sanders che fino a domenica pomeriggio, 
alla Leopolda di Firenze, Renzi aveva descritto come l’esempio di 
correttezza partitica. «Per quelli che ’spostiamo l’asse più a 
sinistra’… poi si svegliano con Trump», twitta infatti il presidente 
dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. L’ex consigliere regionale Bruno 
Astorre si spinge a descrivere Renzi come la versione buona del Trump 
italiano: «Gli Stati Uniti hanno scelto di cambiare. #Bastaunsì per 
cambiare l’Italia. In meglio», ma poi qualcuno gli fa notare la gaffe e 
cancella. Stavolta dunque sono pochissimi a prendersela con l’ex 
segretario. Del resto da Palazzo Chigi la cautela è massima: Trump ha 
fatto tesoro degli attacchi contro di lui, per evitare lo stesso effetto
 ora tutta la comunicazione del Sì dovrà essere ricalibrata.
Nel 
frattempo invece la sinistra, interna ed esterna al Pd, impegnata nella 
campagna del No, alza la voce anche per non essere schiacciata 
dall’esultanza di Grillo e di Salvini. Con un occhio al dopo. Intanto, 
ed è una novità, riesce a dire una cosa comune: era meglio Sanders. 
«Dopo il voto sulla Brexit, la vittoria di Trump conferma che il fronte 
unico dell’establishment contro l’avanzata dei ’populisti’ è una scelta 
suicida», attacca l’ex Pd Alfredo D’Attore, ora in Sinistra italiana. 
«La sinistra e i progressisti devono capire che questa globalizzazione 
trainata dalla finanza non è più difendibile. Accresce a un livello 
intollerabile le diseguaglianze, aggrava la svalutazione del lavoro e 
spinge settori crescenti del ceto medio impoverito verso un voto di 
protesta e paura». Nel week end D’Attorre sarà uno dei protagonisti a 
Roma di una tre giorni organizzata dall’ala dialogante della sinistra, 
presenti D’Alema e Cuperlo e persino il sindaco di Napoli De Magistris.
Le
 parole di Bersani sono «un fatto nuovo»: lo nota anche Nicola 
Fratoianni, dell’ala più radicale dello stesso partito in progress (il 
congresso fondativo di Si è in calendario per febbraio 2017). «Bene, 
soprattutto se si prende consapevolezza che i problemi di cui discutiamo
 sono presenti da anni e si sono aggravati con il governo Monti nel 
2011», dice, e «fa un appello «a Pierluigi e a tutti coloro che nel 
campo della sinistra e dei democratici voteranno No»: «Già dal 5 
dicembre si chiuda definitivamente la stagione della sinistra che 
scimmiotta la destra liberista. Anche perché dopo Trump, all’orizzonte 
si staglia Marine LePen».
 
