(gloria)
Internazionale
12.10.2016
Il
peso insostenibile degli straordinari
di
Michael Hofman, The Japan Times, Giappone
“L’epoca dei rapporti umani è finita”
La
morte per troppo lavoro di un’impiegata della Dentsu, la principale
agenzia di comunicazione del Giappone, rivela un problema diffuso che
la legge non riesce ad arginare Negli anni novanta in Giappone non
c’era spazio per le sciocchezze. La bolla era esplosa, l’economia
era crollata. “L’epoca dei rapporti umani è finita”, dichiarò
un manager alla rivista Aera nel 1996, difendendo i licenziamenti
sempre più frequenti. Oggi viviamo nella stessa era, anche se in una
fase diversa. Vent’anni fa il problema erano i licenziamenti, oggi
è il troppo lavoro. Sono due facce della stessa medaglia, quella del
taglio dei costi. Un’economia supercompetitiva impone il cinismo.
Rapporti umani? Oggi come allora è molto difficile averne. I
licenziamenti di massa seguiti da un lungo blocco delle assunzioni
riassumono buona parte della storia economica giapponese degli ultimi
vent’anni. Di recente le assunzioni sono riprese. La maggior parte
delle persone ha un lavoro, ma a quale prezzo? nel 2015 in Giappone
sono stati riconosciuti 93 casi di karoshi (morte per troppo lavoro).
Si tratta di casi estremi: lo stress, la depressione e la stanchezza
cronica non portano necessariamente alla morte. Aziende nere Playboy
Weekly ha fatto un sondaggio su mille lavoratori e ha scoperto che il
59 per cento delle 878 persone che facevano abitualmente gli
straordinari soffrivano “abbastanza” o “molto” il peso del
lavoro. C’è una pubblicità degli anni ottanta di una bevanda
energetica che oggi suona come una parodia. mentre un giovane manager
ingurgitava la bevanda ed esplodeva di vigore e vitalità, una voce
chiedeva: “Riesci a lottare per 24 ore al giorno?”. L’espressione
del manager lasciava pensare che 24 ore al giorno per lui fossero
perfino poche. A quell’epoca l’espressione burakku kigyo (azienda
nera) era sconosciuta. Indica un grado di sfruttamento vicino alla
schiavitù. Un recente sondaggio della confederazione sindacale
giapponese ha riscontrato che un quarto dei duemila intervistati
riteneva di lavorare per un’azienda nera. Un dipendente di una
burakku kigyo ha un vantaggio rispetto a uno schiavo: può
licenziarsi. Playboy Weekly riporta il caso del signor A, 28 anni,
supervisore in una fabbrica di confezionamento con uno stipendio di
200mila yen al mese (1.700 euro). Dovrebbe lavorare dalle 8 alle
16.30 ma in realtà il suo orario va dalle 6.30 alle 18, e nei mesi
più intensi fa 140 ore al mese di straordinari. Sotto la pressione
del governo, le aziende stanno cercando di ridurre gli straordinari.
Quando gli ispettori del lavoro hanno chiesto di limitarli a 42 ore
al mese, l’azienda di A ha obbedito. “Così ora sono pagato solo
per 42 ore, ma il carico di lavoro è lo stesso”, racconta. Allora
perché non si licenzia? Lo farebbe, se trovasse un lavoro migliore.
L’articolo di Playboy Weekly descrive l’inquietante spettacolo di
impiegati che s’intrufolano nel loro ufficio a qualsiasi ora contro
il tentativo dell’azienda di far rispettare l’orario regolare. Il
problema è che l’orario regolare non basta per il carico di
lavoro. e chi non fa straordinari è accusato di lassismo. Il signor
b è manager in una catena di ristoranti. Il suo capo, spinto
dall’ufficio del lavoro, ha imposto un tetto di 60 ore agli
straordinari mensili, ma la mole di lavoro impedisce di rispettarlo.
Quindi b comincia a lavorare due ore prima di timbrare il cartellino
e finisce due ore dopo. Di recente si è parlato molto di matsuri
Takahashi, morta suicida nel dicembre del 2015. Aveva 24 anni e
lavorava alla Dentsu, la più grande agenzia pubblicitaria del paese.
A settembre il suo suicidio è stato ufficialmente riconosciuto come
karoshi. La sua vita era una sequenza di giornate lavorative di
dodici ore piene di insulti dei superiori. Poco prima di uccidersi
aveva inviato un’email alla madre: “Il lavoro è insostenibile.
La vita è insostenibile”. Il 7 novembre 2016 gli ispettori del
lavoro hanno fatto un’incursione in varie sedi della Dentsu, la più
grande azienda di comunicazione del Giappone, appurando che almeno
trenta impiegati hanno lavorato oltre cento ore mensili in più
rispetto a quelle registrate. Il nome dell’azienda è caduto in
disgrazia da quando a settembre il suicidio di un’impiegata è
stato ricondotto alle pressioni subite dai superiori e al lavoro
eccessivo. Dal 1951 alla Dentsu si seguono “i dieci princìpi” ,
uno dei quali dice: “non mollare davanti al proprio compito,
nemmeno se si viene uccisi”. Il governo sta preparando una riforma
per evitare la morte dovuta al troppo lavoro. Bbc