Corriere 15.11.16
Russia, le ragioni dell’Orso
Gli errori occidentali hanno favorito la riscossa del nazionalismo a Mosca
di Franco Venturini
Tornata
protagonista sulla ribalta internazionale, la Russia guidata da
Vladimir Putin risulta essere troppo spesso, e per troppi, un oggetto
misterioso. In Occidente si preferisce considerarla minacciosa e
imprevedibile come in effetti talvolta è, ma mentre con pericolosa
leggerezza viene annunciata la prossima «guerra fredda» nessuno ammette
errori occidentali che pure esistono a fronte di quelli russi, e nessuno
pare interessato a ripercorrere una storia che contiene, a beneficio di
chi vuole esserle amico o avversario, l’identità della Russia di oggi.
Colmare questa lacuna culturale e politica è necessario più che mai in
un periodo di contrapposizioni come l’attuale, e l’ultimo libro
dell’ambasciatore Sergio Romano Putin e la ricostruzione della Grande
Russia (Longanesi) offre a questo proposito un contributo di rilievo.
Con la meticolosità dello storico e lo stile del narratore, Romano ci
accompagna dallo smembramento dell’Unione Sovietica alle odierne
tensioni tra Mosca e Washington, destinate forse a stemperarsi con
l’elezione di Donald Trump, in una carrellata veloce ma estranea alle
narrazioni di parte e ricca di riflessioni stimolanti.
Il capitolo
che maggiormente ci interessa per provare a capire Vladimir Putin e la
sua Russia è quello delle due presidenze di Boris Eltsin. L’Urss è da
poco crollata, l’economia pianificata è stata sconvolta dalle
privatizzazioni del governo Gaidar, è nata la Comunità degli Stati
indipendenti. La Russia, centro motore dell’impero sovietico ora
dissolto, tenta il passaggio alla democrazia. La guida da eleggere è
ovvia: quel Boris Eltsin che nell’agosto del 1991 ha dato prova di
grande coraggio scongiurando un golpe firmato Kgb prima di liquidare, ma
senza violenza, un Gorbaciov ormai impopolare.
Eltsin, nel suo
primo mandato, crea le istituzioni di una democrazia. Una nuova
Costituzione, un nuovo Parlamento formato da due Camere, le unità
amministrative che dovranno governare gli oblast (regioni), gli okrug
(circondari), le Repubbliche autonome e le grandi città dell’ancora
immensa Federazione. Il passo è di grande rilievo, anche se la cornice
istituzionale non basta, in assenza di una nuova classe politica e di
una sufficiente consapevolezza democratica. Piuttosto a farsi strada è
una nuova casta che salta sul cavallo delle privatizzazioni e fa incetta
di ricchezza e di potere: nascono gli oligarchi, che avranno una parte
essenziale nell’ascesa di Putin.
Ma il protagonista, per ora, è
ancora Eltsin. La sua salute peggiora. Il presidente beve sempre di più,
e alcune disastrose esibizioni pubbliche non lo aiutano. Il suo
cardiochirurgo americano gli annuncia nel 1996 la necessità di un
delicato intervento, ma «corvo bianco» decide egualmente di candidarsi a
un secondo mandato. La campagna elettorale è caotica, ed esiste il
pericolo di un ritorno dei comunisti. Le interferenze esterne si
sprecano, e alla fine Eltsin viene rieletto proprio mentre è sotto i
ferri. Ma la Russia, nel frattempo, è cambiata di nuovo. Gli oligarchi
sono diventati poco a poco i «condomini del Cremlino», come nota Romano,
e senza il loro appoggio Eltsin non ce l’avrebbe fatta.
I vari
Abramovic, Berežovskij, Gusinskij, Khodorkovskij, Potanin, Deripaska,
sono i nuovi padroni della Russia. Controllano banche, giornali, reti
televisive, dalle loro fortune dipende talvolta il pagamento degli
stipendi statali (anche quelli delle forze armate), qualcuno, come
Berežovskij, decide di entrare in politica. Eltsin continua a stare male
e a bere, mentre sotto i suoi occhi dilaga la corruzione (anche quella
della sua famiglia). Lo Stato russo pare dissolversi un’altra volta, il
peso di Mosca sulla scena internazionale diventa trascurabile, crescono i
nazionalismi locali e i pericoli di secessione.
Si deve partire
da qui, per sapere da dove viene e dove vuole andare Vladimir Putin. È
molto probabile, scrive Sergio Romano, che l’uscita di scena di Eltsin e
l’avvento di Putin siano stati voluti e preparati dal Fsb (erede del
Kgb) per contrastare l’ascesa degli oligarchi e l’indebolimento della
Russia. Putin aveva un passato nel Kgb che l’autore descrive con
ricchezza di dettagli. Era nota la sua amarezza davanti alla «Patria che
non esisteva più». Ed è probabilmente nel segno di una volontà di
riscossa che Putin viene nominato primo ministro nell’agosto del 1999.
Guerra alla Cecenia separatista, primi altolà agli oligarchi, elezioni
per la Duma ed ecco che a Capodanno del 2000 uno Eltsin allo stremo lo
designa suo successore e si dimette.
Putin vince le elezioni di
marzo, è presidente. Nel segno, allora come oggi, di una Russia che
rifiuta l’umiliazione e vuole risalire la china, del ritorno dello
Stato, di un autoritarismo radicato nella sua cultura, della
sopravvivenza degli atavici complessi della storia russa (assedio,
isolamento), di una politica estera ispirata da secolari legami
nazional-religiosi (Ucraina) o da solidi interessi strategici (Siria).
Romano individua ognuno di questi fattori, lo colloca nella giusta
cornice, lo arricchisce con le sue osservazioni e i suoi racconti. E
aggiunge aspetti non secondari: la Chiesa ortodossa che di Putin è
grande alleata, per esempio. Oppure il «problema Stalin», perché del
vincitore della «Grande guerra patriottica» contro il nazismo (almeno
venti milioni di morti sovietici, contro nemmeno un milione di americani
e britannici sommati) non si può parlare soltanto male.
Leggendo
questo libro mi è capitato talvolta di non concordare con l’autore,
quando giudica severamente la «guerra delle memorie» e gli «atti di
contrizione» che invece a mio avviso possono promuovere una auspicabile
consapevolezza collettiva (si pensi al caso dell’Olocausto), oppure
quando, elencate le molte debolezze dell’Occidente, si chiede se la
democrazia possa ancora essere un modello virtuoso da proporre a Putin
(la mia risposta è sì, malgrado tutto). Ma il lavoro di Romano, al di là
delle opinioni su questo o quell’aspetto, merita la nostra
riconoscenza. Perché per salvare la pace bisogna sapere chi si ha di
fronte.