lunedì 14 novembre 2016

Corriere 14.11.16
Anatomisti dell’illusione
L’intuizione di Shakespeare e Cervantes
il vero saggio è il folle (senza peccato)
Il ReggioParmaFestival celebra il grande drammaturgo con cinque settimane di spettacoli. E coinvolge lo spagnolo, morto nello stesso giorno del poeta
Uno scrittore spiega perché entrambi hanno descritto la bellezza della verità laica
L’uomo crede di sapere quello che non sa, ma ha la chance di risvegliarsi prima della sua morte
di Emanuele Trevi

Sul significato preciso delle coincidenze bisogna sempre dubitare, non fosse altro perché tutto ciò che accade nel mondo è una immensa, interminabile, incomprensibile coincidenza. Non dovrebbe fare eccezione nemmeno il fatto che William Shakespeare e Miguel de Cervantes, come stremati da un’identica vita titanica, siano morti lo stesso giorno, il 23 aprile del 1616.
Con l’occasione dell’anniversario, la circostanza è stata ricordata e variamente interpretata. A voler essere pedanti, come giustamente qualcuno ha ricordato, il fatto nemmeno sussiste, perché in Spagna nel 1616 vigeva il calendario gregoriano, mentre in Inghilterra si seguiva ancora quello giuliano, così che in effetti l’autore del Don Chisciotte e quello dell’ Amleto morirono a più di dieci giorni di distanza. Ciò che resta strabiliante nel rapporto tra questi due uomini, al netto di tutte le coincidenze, è il loro assomigliarsi e il loro completarsi. Di entrambi, ci è difficile farsi un’idea psicologica attendibile: la loro vita è troppo fitta di misteri, e se di qualcosa sappiamo, è come se avessero seminato degli indizi a bella posta per depistare ogni indagine futura. Ci costringono, insomma, a guardare sempre in direzione della loro opera. Nella storia della coscienza occidentale, Shakespeare e Cervantes hanno cambiato in maniera irreversibile la coscienza di ciò che è umano, nella sua estensione e nei suoi limiti. Prima di loro, un passo avanti di questa portata lo aveva fatto solo Dante. Dante scopre i singoli individui, con il loro carattere e le loro vicende irripetibili, e li promuove alla poesia come mai nessuno aveva fatto. Shakespeare e Cervantes approfondiscono quest’eredità in una maniera davvero dirompente. Prendono l’uomo di Dante, e lo sottraggono al suo obbligato percorso di salvezza o perdizione. Non è che si ribellino apertamente al cristianesimo. Ma ciò che a loro interessa davvero, nell’uomo, non è la sua propensione al peccato, che si può dare per scontata. Il problema ultimo dell’uomo sarà pure la sua salvezza, ma il problema immediato è che, unico fra tutte le creature dell’universo, egli vaneggia, smarrisce in mille modi il suo legame con la verità, crede di sapere quello che non sa.
Tutto questo si può rappresentare in maniera tragica o comica, perché il tragico e il comico non sono che due maniere parziali di avvicinarsi al mistero dell’uomo: l’animale che esce di senno. Ma questo uscire di senno, questa percezione alterata della realtà, non corrispondono forse, nel senso più pieno, all’avventura dell’uomo nel mondo? Non sono forse il motore di ogni azione romanzesca e di ogni drammaturgia, intese come immagini credibili della vita e dell’ingovernabile varietà dei suoi casi? Non è da pensare, d’altra parte, che Cervantes e Shakespeare, anatomisti infallibili dell’illusione umana, avessero perso il rispetto dovuto alla realtà e ai suoi obblighi.
Con una simmetria che non smette di stupirci, entrambi ci hanno lasciato un vero testamento in materia di saggezza. Perché la loro opera contiene anche questo: la possibilità che ha l’uomo di risvegliarsi, prendere coscienza dei suoi errori, smettere di fingere. È quello che ci raccontano le ultime pagine del Don Chisciotte , e il monologo di Prospero che chiude La tempesta . Credo che siano le pagine più belle e più profonde mai scritte da entrambi; mi piace immaginare che a scriverle sia stato un solo scrittore che non era né Shakespeare né Cervantes, ma uno spirito potente e inafferrabile, che girava per l’Europa indossando varie maschere.
Don Chisciotte morente, che riprende il nome di Alonso Chisciano e rinnega le imprese, non è diverso da Prospero, che consumata la sua vendetta depone arti magiche e potere. Il primo è sul letto di morte; il secondo sta per ritirarsi a vita privata a Milano, e ci assicura che ogni tre pensieri che farà, uno sarà dedicato alla sua tomba. Come tutti i grandi messaggi, anche questo punge e consola. Da una parte significa che la saggezza e il risveglio arrivano troppo tardi, e servono solo a morire bene; ma è ugualmente vero, e ricco di significato, che l’essere umano può risvegliarsi prima della morte, quando ancora è dentro la sua vita, non più come ospite ma come padrone. Quello che ci hanno lasciato Cervantes e Shakespeare è molto di più di una morale, di una filosofia. È una percezione esatta della condizione umana: così esatta che a tutti e due stanno strette le solite, fruste casacche dell’ottimismo e del pessimismo.