domenica 13 novembre 2016

Corriere 13.11.16
Il Canal Grande a Dubai (costruito in due anni)
di Luca Mastrantonio

DUBAI Sulle mappe di Google ancora non si vede, ma dal 9 novembre il cuore di Dubai è un’isola. L’emiro Mohammed bin Rashid Al Maktoum ha inaugurato mercoledì il Dubai Water Canal (il governo si è fatto fare un selfie satellitare per mostrarlo dall’alto), che ha aperto un secondo sbocco sul mare per il Creek, il fiordo attorno a cui è nata Dubai, come un fiume: città che, per come la vediamo oggi, ha circa vent’anni, è esplosa con il boom Anni 90. Ora, in vista dell’Expo 2020, cerca di essere all’altezza delle proprie aspettative, puntando anche sull’hitech, oltre agli affari e al turismo (il petrolio non è più centrale). A Calatrava è stata affidata la costruzione del nuovo grattacielo più alto del mondo, a rinnovare il primato già ottenuto con il Burj Khalifa (828 metri); e sta accelerando la corsa per realizzare Hyperloop One, il treno da 1.200 km/h che dovrebbe collegare Dubai e Abu Dhabi (160 km) in 12 minuti.
Intanto, oltre a metro e nuovi palazzi, il Dubai Water Canal. Realizzato in un paio di anni, lavorando anche di notte, come è regola in questa città ricca di opportunità più che di diritti: è lungo 2,9 chilometri e collega la Business Bay al Golfo Persico, lungo Safa Park e il nuovo Jumeirah Beach Park. Prevede stazioni di trasporto marittimo, moli privati, appartamenti e hotel di lusso, centri commerciali, di ricreazione e ristoro. È largo tra gli 80 e i 120 metri, e navigabile (la profondità è 6 metri); ha ponti pedonali e stradali, cascate illuminate che si aprono e chiudono al passaggio delle barche. Scenografico.
Così Dubai ha dato un tocco veneziano alla sua vocazione da Las Vegas araba. Per l’inaugurazione del canale, l’autorità governativa dei trasporti (Rta) ha scelto Prodea, un’azienda fondata a Torino da Corrado Camilla e Marco Cicchetti, e attiva in Italia e all’estero, tra Mosca e Dubai (qui il general manager è Luca Sani). Al governo di Dubai è piaciuta la capacità italiana di fare storytelling, cioè di raccontare l’anima sorprendente di Dubai: la visionarietà che si fa realtà. Proprio quello che — fatte salve le enormi differenze politiche, sociali ed economiche su cui discutere — manca all’Italia.