Republica 6.10.16
Neruda
Il gioco senza fine del poeta e del poliziotto
In
sala il 13 ottobre l’“antibiografia” del Nobel firmata da Pablo Larraín
che viaggia verso l’Oscar come miglior film straniero candidato dal
Cile
Interpreta il poeta il grandissimo Luis Gnecco affiancato da
un “tragico” Gael García Bernal alla ricerca di una personale rivincita
sul mondo
di Natalia Aspesi
BACIATO, abbracciato,
toccato da chi lo ama, come senatore del partito comunista cileno e
come meraviglioso poeta, Pablo Neruda entra nei gabinetti del Parlamento
dove lo aspettano i colleghi che subito attacca definendoli “di merda”,
offendendo il nuovo presidente González Videla, di cui ha curato la
campagna, perché “traditore al servizio dell’America”. È il 1948, Neruda
ha 44 anni, è già celebre nel mondo (vincerà il Nobel per la
letteratura nel 1971) ed è un uomo grosso, molto stempiato, brutto, che
fa impazzire le donne. «È obeso e ha messo per la prima volta le scarpe a
12 anni» lo offende un avversario, ricordando le sue origini popolari.
Così inizia Neruda, il grande film del quarantenne cileno Pablo Larraín,
che lo definisce un’antibiografia: storicamente e umanamente esatta ma
esaltata da una geniale sovrapposizione di invenzioni simili a sogni, e
dall’uso del colore spesso sfumato nei viola di una natura notturna
stupenda e vuota.
In quell’anno il partito comunista cileno è
messo fuori legge, 26 mila cileni privati del voto, i lavoratori in
sciopero prelevati dall’esercito e rinchiusi in campi di concentramento,
Neruda destituito dal ruolo di senatore, dichiarato nemico pubblico e
traditore. Il partito lo convince a entrare in clandestinità e il film
segue i lunghi mesi di questa fuga che lo porterà in salvo in Argentina e
poi in Europa. Lo insegue il poliziotto Óscar Peluchonneau (così si
chiamava davvero chi doveva scovarlo e arrestarlo), che il regista
trasforma in un personaggio letterario, che si autoinventa o forse è un
invenzione di Neruda. Lui stesso, Peluchonneau, non sa chi è, si cerca
in quell’inseguimento del poeta che gli sfugge pochi minuti prima che
lui lo raggiunga, come in un gioco senza fine. Il poeta vaga di paese in
paese, di casa in casa, protetto dagli amici comunisti, assieme alla
seconda moglie Delia (Mercedes Moran), pittrice argentina di famiglia
aristocratica che ha 20 anni più di lui, lo venera e lo aiuta a
sgrezzarsi.
Neruda era fisicamente privo di attrattive se non per
la voce cantilenante con cui leggeva i suoi versi, d’amore carnale e di
pena per la miseria del popolo cileno: e lo interpreta un grandissimo
attore, Luis Gnecco (ingrassato di 25 chili), sufficientemente brutto
per diventare davvero identico al poeta. Come nella realtà Neruda non
sopporta la clandestinità, e di notte ma anche di giorno, sfida il
pericolo uscendo travestito da prete o vistosamente abbigliato di
bianco, anche per rifugiarsi nei casini tra prostitute nude cui declama i
suoi versi e che lo adorano e lo proteggono. In ogni casa, in ogni
macchina, nella tasca della sua elegante giacca che ha lasciato a una
mendicante coperta di stracci, lascia per l’inseguitore uno dei libri
gialli che adora, come un Pollicino crudele e sprezzante.
Il poeta
del film, come quello della realtà, beve molto, fa da mangiare i suoi
piatti a base di cipolle, ha sempre con sé le nuove poesie e la macchina
da scrivere: è l’epoca, dice Larraín, del grandioso Canto general, che
scrive a mano, o ricopia, o detta e poi recita in quella lingua morbida,
che non si riesce ad immaginare doppiata. Peluchonneau ha il viso
chiuso e talvolta tragico di Gael García Bernal, con i piccoli baffi, i
lunghi silenzi, il cappello d’epoca, e pare il detective Dick Tracy dei
fumetti di Chester Gould o il Philip Marlowe di Humphrey Bogart del
Grande sonno diretto da Hawks, sempre più irreale, anche ridicolo quando
guida una moto con occhialoni e casco, ripreso come fosse un cartoon.
Il
duello mortale con l’inseguito è impari, è una sfida sempre persa,
sempre umiliante: lui figlio di una prostituta e di un padre ignoto che
si è inventato, bisognoso di riscatto, in quella caccia cerca la sua
rivincita sul mondo. Vuole passare alla storia mentre una voce fuori
campo, il suo pensiero, si racconta come fosse il protagonista di un
poliziesco di Raymond Chandler: “il sagace commissario”, “l’esperto
poliziotto che segue un odore asiatico”. Perduto in una solitudine
impotente, rifiuta di essere un personaggio secondario, di carta,
addirittura inventato dal poeta, come gli dice ironica e sicura Delia.
Neruda
tornò in Cile ai tempi del presidente Allende ed è ormai sicuro che
dopo il golpe di Pinochet sia stato ucciso, a 69 anni con un’iniezione,
per ordine del dittatore: che tra l’altro compare nel film come capo di
un campo di concentramento per comunisti cileni.
In febbraio
arriverà da noi Jackie, il nuovo film di Larraín, antibiografia dei
giorni di lutto di Jacqueline Kennedy, che alla Mostra di Venezia ha
vinto il premio per la miglior sceneggiatura e che è molto piaciuto
anche alla critica