sabato 8 ottobre 2016

Repubblica 8.10.16
La meteorologa
Oceani sempre più caldi le catastrofi aumenteranno
Non solo Tropici: negli ultimi anni l’area a rischio si è spostata verso Nord
di Valentina Acordon

URAGANI sull’Oceano Atlantico, Tifoni sul Pacifico e Cicloni sull’Oceano Indiano, nomi diversi per il fenomeno meteorologico più impressionante e distruttivo che conosciamo. Possiamo immaginarlo come una gigantesca e profonda depressione attorno alla quale l’aria si invortica in senso antiorario con venti violentissimi che negli uragani peggiori, quelli di categoria 5 sulla Scala di Saffir-Simpson, possono superare i 250 chilometri orari. Matthew, di categoria 4, ha raffiche tra i 200 e i 250 km/h, ma la velocità del vento è solo uno dei fattori di pericolo di un ciclone tropicale. Molti dei danni sono dovuti anche all’ondata di marea generata dalla bassa pressione atmosferica, che nell’occhio del ciclone può precipitare sotto i 920 hPa, facendo innalzare il livello del mare e provocando estese inondazioni come nel caso dell’uragano Katrina a New Orleans nel 2005. Tempeste così potenti, per formarsi e sostenersi, hanno bisogno di molta energia che gli viene fornita dall’acqua molto calda degli oceani tropicali e per questo ci si attende che in futuro, in un clima sempre più caldo, diventino più frequenti.
Alcuni dati del passato lo dimostrano, per esempio il maggior numero di uragani tra il 1940 e il 1970, quando l’Oceano Atlantico fu insolitamente caldo, ma incidono anche altri fattori, come El Niño che favorisce lo sviluppo di cicloni sull’Oceano Pacifico, mentre lo inibisce sull’Atlantico. Negli ultimi anni, più che un aumento effettivo del numero di uragani, a colpire è stato però il loro spostamento più a Nord.
Di solito, quando trovano acque più fredde, i cicloni perdono vigore, ma recentemente per ben due volte (Irene nel 2011 e Sandy nel 2012) si sono spinti fino a New York, un segnale evidente degli effetti di un clima più caldo.
Fortunatamente gli uragani sono uno dei fenomeni meteorologici più facili da prevedere. Da quando si formano come semplici tempeste tropicali in mezzo all’oceano vengono seguiti e monitorati grazie ai moderni modelli meteorologici, che consentono di calcolarne la traiettoria permettendo di evacuare in tempo la popolazione. Non andò così a Galveston, in Texas, nel 1900.
All’epoca non esistevano neppure i satelliti e i meteorologi, basandosi solo sulle osservazioni locali, non credettero all’arrivo del ciclone e non allertarono la popolazione. L’uragano, simile a Matthew, giunse così inatteso e rase al suolo la città provocando migliaia di vittime.