venerdì 7 ottobre 2016

Repubblica 7.10.16
Al premier serve un’idea per salvarsi dal duello rusticano sul referendum
Invece di un confronto sulla riforma della Carta, prevale la logica della resa dei conti
Di conseguenza cresce l’incertezza tra gli elettori e il premier si sente accerchiato dalle critiche
Palazzo Chigi deve abbandonare i toni ansiogeni e puntare su un messaggio di maggiore credibilità
di Stefano Folli

C’è un’alternativa alla prospettiva di due mesi di rissa elettorale come quella a cui assistiamo in questi giorni? La risposta sprezzante del sottosegretario Lotti strettissimo collaboratore di Renzi - alle critiche di D’Alema induce a pensare che no, questo sarà lo stile della campagna fino al 4 dicembre.
Sotto questo aspetto, il paragone è scoraggiante. La Costituzione del 1948 fu la cornice di un paese che seppe riconoscersi in alcuni valori fondamentali nonostante le drammatiche lacerazioni politiche dell’epoca. Oggi, viceversa, più che una discussione pubblica sulla riforma della Carta, prevale la logica della resa dei conti. La costante delegittimazione dell’avversario, tipica degli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, prosegue e si trasferisce sul terreno referendario. Chi la pensa in modo difforme deve essere degradato nel fuoco della polemica. Un giudizio negativo sulla riforma nasce dal rancore di chi non ha ottenuto “una poltroncina di consolazione”. E chi invece difende il testo costituzionale lo fa per consolidare un gruppo di potere in vista di miscelare politica e affari.
Si capisce che inasprire un tale clima - come avviene da più parti - rischia di trasformarsi in un esercizio devastante. Perché il duello rusticano non si svolge solo all’interno del Pd. In realtà si proietta verso le future elezioni politiche: come se il referendum fosse solo il primo tempo di una partita che si concluderà con il rinnovo del Parlamento, inteso come l’ordalia finale fra il “partito di Renzi” e l’arcipelago dei suoi nemici più o meno organizzati. Resta da capire chi può trarre giovamento da questo clima esasperato. Forse solo i movimenti anti-sistema, i Cinque Stelle o come si chiameranno di qui a un anno, che hanno l’opportunità di far dimenticare i pasticci di Roma indicando una volta di più i limiti delle classi dirigenti e di un certo “establishment”. C’è da dubitare che a trarne vantaggio possa essere il presidente del Consiglio, soprattutto se egli non riuscirà a cancellare quell’immagine di solitudine, o meglio di isolamento, che si è diffusa nelle ultime settimane. Un’immagine più apparente che reale, figlia del nervosismo.
Renzi reagisce indulgendo un po’ troppo spesso alla polemica quotidiana - lui direttamente o i suoi collaboratori - quando invece dovrebbe affidarsi a un tono più alto, in sintonia con l’ambizione riformista della nuova Costituzione. In fondo, se il premier non sa resistere alla tentazione di battersi in prima persona, nonostante la promessa di non “personalizzare” il confronto, dovrebbe ricordare che spetta a lui riconciliare gli italiani e far sì che domani la Carta fondamentale sia percepita come tale da tutti: dai vincitori come dagli sconfitti del 4 dicembre. Invece i piani continuano a mescolarsi e la campagna elettorale sembra quella del “partito di Renzi” contro tutti.
Di conseguenza cresce l’incertezza. I sondaggi sembrano ancora poco favorevoli al Sì e inoltre a Palazzo Chigi si preoccupano per lo stillicidio degli attacchi ricevuti dall’interno e dall’estero, sia sulla politica economica sia sulla stessa qualità della riforma. La sensazione dell’accerchiamento è in buona misura infondata, ma è pur vero che qualche errore poteva essere evitato. In primo luogo l’uscita sul ponte di Messina che ha fatto cattiva impressione in diverse capitali europee, non solo a Londra. Sull’altro piatto della bilancia, all’Italia viene oggi riconosciuta dalla Commissione europea la “flessibilità” richiesta per il terremoto e gli immigrati: e questa è un’ottima notizia per i conti pubblici, utile anche a rasserenare i rapporti fra Roma e l’Unione.
Renzi è ancora in grado di vincere il referendum, ma i suoi toni ansiogeni fin qui non lo hanno aiutato. Come probabilmente non lo aiuta la mancanza di una seria iniziativa per cambiare la legge elettorale. Per sua fortuna, due mesi sono lunghi: c’è tutto il tempo per correggere una campagna elettorale partita con il piede sbagliato. Il che significa trovare un’idea (magari più di una) in grado di restituire al messaggio governativo un’impronta di ottimismo fondato sul realismo e la credibilità.