Repubblica 7.10.16
Il “tradimento” di Benigni
di Massimo Recalcati
LA
SCADENZA per il voto sul referendum costituzionale si avvicina e, come è
normale, il dibattito politico si infiamma. In ogni referendum che ha
marcato il passo, il paese si è inevitabilmente diviso (monarchia e
repubblica; divorzio, aborto). Accade in democrazia che vi sia una
maggioranza e una minoranza.
La cosa che più mi colpisce non è
quindi né l’infiammarsi del dibattito politico, nè la divisione del
paese, ma un sintomo che manifesta una grave malattia che ha da sempre
storicamente afflitto la sinistra (ora pienamente ereditata dal M5S). Ne
ha fatto recentemente le spese Roberto Benigni aspramente attaccato per
la sua presa di posizione a favore del Sì. A quale grave malattia mi
sto riferendo? Si tratta della malattia (ideologica) del “ tradimento”.
Anche una parte del fronte di sinistra del No ne è purtroppo afflitta.
Non coloro che ragionano nel merito dei contenuti della riforma non
condividendoli (come provò a fare con cura Zagrebelsky in un recente
confronto televisivo con Matteo Renzi), ma coloro che vorrebbero situare
il confronto sul piano etico impugnando, appunto, l’antico, ma sempre
attualissimo, tema del tradimento degli ideali.
L’accusa
patologica di tradimento implica innanzitutto l’idea di una degradazione
antropologica del traditore, di una sua irreversibile corruzione
morale. Non un cambio di visione, non la formulazione, magari
tormentata, di un giudizio diverso, non l’esistenza di contraddizioni
difficili da sciogliere, non il travaglio del pensiero critico. Niente
di tutto questo. Il traditore è colui che ha venduto la propria anima al
potere, al regime, al sistema. È l’accusa che risuona oggi, non a caso,
nella bocca di diversi intellettuali schierati per il No rivolta verso
quelli che sostengono le ragioni del Sì: venduti, servi, schiavi dei
“poteri forti”. Non a caso agli inizi della campagna referendaria Il
fatto quotidiano ne pubblicò addirittura una lista di 250 per mostrarne
l’indegnità e la consistenza risibile. L’accusa è che il traditore abbia
subdolamente cambiato idea o abbia condiviso un’idea ingiusta per
difendere avidamente i propri interessi personali. Il che lo rende
moralmente ancora più infame. Egli ha barattato in modo sacrilego la
purezza assoluta dell’Ideale con la volgarità interessata e meschina del
proprio Io. Ambizione personalistica, prevalenza dell’individuale sul
collettivo, incapacità di servire umilmente la Causa perché
l’attaccamento “borghese” al proprio Io prevarrebbe cinicamente sul
senso universale della storia e sulle sue ragioni.
Questo fantasma
del tradimento non anima evidentemente solo la vita politica della
sinistra — recentemente Alfano fu accusato da Berlusconi e dai suoi di
alto tradimento, come Hitler accusò alcuni suoi generali dissidenti, o,
per fare un esempio un po’ più modesto, la Lega inveii con il Trota
impugnando le scope che avrebbero dovuto ripulire il partito dall’ombra
della corruzione — . E, tuttavia, è proprio a sinistra che esso trova il
suo terreno di attecchimento più fertile. Perché? Perché l’accusa di
essere un traditore degli Ideali è un sintomo tipico della sinistra?
Tocchiamo qui la radice profondamente stalinista di questa cultura che è
dura a morire. Ogni uomo di sinistra — quale io mi ritengo d’essere —
dovrebbe provare a fare sempre i conti con questa radice oscena.
Dovrebbe sforzarsi, innanzitutto soggettivamente e non solo
collettivamente, di confrontarsi con il suo carattere scabroso,
anti-liberale e anti-libertario: dovrebbe provare a fare sempre
attenzione allo stalinista che c’è in lui per lavorarci contro, per
impedire che questo grave morbo lo accechi e lo condizioni nella sua
azione.
La radice inconscia del fantasma del tradimento porta alle
estreme conseguenze un principio che appartiene a sua volta al
fondamentalismo insito nel concetto “marxista” di militanza. La Causa
obbliga alla spogliazione di sé, al sacrificio assoluto della propria
individualità, alla soppressione del pensiero critico come un bene
superfluo e borghese. Il traditore della Causa è insopportabile perché
sancisce invece il ritorno dell’Io e della sua puerile meschinità
laddove l’affermazione militante del collettivo avrebbe dovuto
estirparne ogni ambizione soggettivistica. Se una personalità pubblica
di sinistra oggi difende le ragioni del Sì, le accuse di incoerenza (ma
come? prima era per il no ed ora ha cambiato opinione?) ne ricoprano, in
realtà, altre ben peggiori. È il caso tipo di Benigni: lo fa per avere
contratti, soldi, potere, riconoscimenti o, peggio ancora, perché è
servo della finanza, delle banche, dell’Europa dei burocrati o degli
Stati Uniti imperialisti, o di chissà quale altro, non meglio
identificato, “potere forte”. Lo fa, insomma, perché si è smarrito
moralmente. Vizio storico, ancestrale, primario della sinistra anti-
liberale, anti-libertaria e anti-riformista. È la corruzione etica a
spiegare la ragione ultima del ragionamento politico, nel senso che
quest’ultimo non è altro che il frutto di un calcolo cinico e puramente
strumentale del “traditore”. In esso non c’è nessun senso del bene
comune, nessun senso della Causa, ma solo un incontenibile protagonismo
narcisistico dell’Io. Ai tempi di Stalin questo portava dritti verso il
plotone di esecuzione oppure verso i campi di rieducazione (il modello
maoista fu, in questo, un esempio notevole di applicazione della
pedagogia autoritaria al servizio dell’ideologia). Oggi, in un sistema
democratico, conduce tendenzialmente alla diffamazione. La corruzione
morale non viene soppressa con la morte, ma con il linciaggio mediatico.
La lista dei degenerati attende sempre di essere completata con una
tessera in più.