giovedì 6 ottobre 2016

Repubblica 5.10.16
Dubbi sulla giurisdizione dei magistrati amministrativi
Decisione in tempi brevi strada in salita per l’appello
di Liana Milella

ROMA. È tutta in salita – giuridicamente – la strada del ricorso al Tar di M5S e Sinistra italiana. Forse lo si potrà capire subito già oggi alle 12, dal primo confronto che ci sarà davanti alla giustizia amministrativa. La quale, di fronte a una partita come quella che propongono i ricorrenti, potrebbe anche dichiarasi subito non competente. Perché, come suggerisce più di un tecnico della materia, la strada giusta per contestare il quesito non avrebbe dovuto essere quella del Tar, bensì, in prima istanza, quella della Corte di Cassazione, la quale poi avrebbe potuto decidere, qualora lo avesse ritenuto opportuno e condivisibile, di rivolgersi alla Corte costituzionale.
Non basta. I ricorrenti puntano diritto sul Quirinale, “colpevole”, a loro avviso, di aver artatamente passato un quesito farlocco, fatto apposta per far vincere il partito del sì. Ma il Colle, in questo caso, funziona come un notaio, perché a monte della formulazione del quesito c’è l’Ufficio centrale della Cassazione che ha esaminato la richiesta di referendum e ha deciso quale dovesse esserne l’intestazione. Quindi il Colle non ha svolto un ruolo autonomo e decisionista sul quesito, ma si è semplicemente limitato a prendere atto di quanto aveva fatto la Cassazione.
In casi giuridicamente complessi come questo è sempre utile far parlare i “professori”. Ecco cosa dice Massimo Luciani, docente di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, il quale sul ruolo del Colle è netto: «Il comunicato del Quirinale, che ricorda come il quesito sia stato stabilito dall’Ufficio centrale della Corte, è ineccepibile. Il quesito non è stabilito dal presidente della Repubblica, il quale si limita a recepire le determinazioni dell’Ufficio centrale». Un notaio, appunto.
Ma bisogna partire proprio da qui per capire l’errore del ricorso. Il quale, se avesse contestato la data del referendum piuttosto che il titolo, forse avrebbe avuto maggiori chance di riuscita. Secondo Luciani «il problema del quesito esiste, ma la via scelta dai ricorrenti per affrontarlo non è quella giusta ». Dice Luciani: «La dottrina ha subito colto una peculiarità della legge di riforma costituzionale, che non ha un “titolo muto”, cioè non s’intitola semplicemente “legge di revisione della costituzione”, ma descrive direttamente alcuni contenuti della riforma. Questa è una novità perché non è andata così né nel 2001 con la riforma del titolo V del centrosinistra, né nel 2006 con la cosiddetta riforma Berlusconi».
Ci siamo, il problema del quesito esiste, in quanto legato al titolo della legge. Ma dice Luciani: «Un titolo molto articolato, è stato detto, può già indirizzare la volontà degli elettori. Ma non mi sembra che questo sia il modo per risolverlo». Luciani, sul Tar, non lascia spazi: «È molto dubbio che abbia giurisdizione sulla domanda proposta dai ricorrenti, visto che il quesito referendario è stabilito sulla base dell’articolo 16 della legge 352 del ’70 dall’Ufficio centrale per il referendum, organo le cui decisioni non sono impugnabili se non con un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Il problema del titolo della legge avrebbe dovuto essere affrontato in sede parlamentare ». Quindi «difficilmente il ricorso potrà essere dichiarato ammissibile». Una cosa è certa, i tempi del responso saranno brevissimi visto che mancano solo 55 giorni al voto.