Repubblica 5.10.16
Dubbi sulla giurisdizione dei magistrati amministrativi
Decisione in tempi brevi strada in salita per l’appello
di Liana Milella
ROMA.
È tutta in salita – giuridicamente – la strada del ricorso al Tar di
M5S e Sinistra italiana. Forse lo si potrà capire subito già oggi alle
12, dal primo confronto che ci sarà davanti alla giustizia
amministrativa. La quale, di fronte a una partita come quella che
propongono i ricorrenti, potrebbe anche dichiarasi subito non
competente. Perché, come suggerisce più di un tecnico della materia, la
strada giusta per contestare il quesito non avrebbe dovuto essere quella
del Tar, bensì, in prima istanza, quella della Corte di Cassazione, la
quale poi avrebbe potuto decidere, qualora lo avesse ritenuto opportuno e
condivisibile, di rivolgersi alla Corte costituzionale.
Non
basta. I ricorrenti puntano diritto sul Quirinale, “colpevole”, a loro
avviso, di aver artatamente passato un quesito farlocco, fatto apposta
per far vincere il partito del sì. Ma il Colle, in questo caso, funziona
come un notaio, perché a monte della formulazione del quesito c’è
l’Ufficio centrale della Cassazione che ha esaminato la richiesta di
referendum e ha deciso quale dovesse esserne l’intestazione. Quindi il
Colle non ha svolto un ruolo autonomo e decisionista sul quesito, ma si è
semplicemente limitato a prendere atto di quanto aveva fatto la
Cassazione.
In casi giuridicamente complessi come questo è sempre
utile far parlare i “professori”. Ecco cosa dice Massimo Luciani,
docente di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, il quale sul
ruolo del Colle è netto: «Il comunicato del Quirinale, che ricorda come
il quesito sia stato stabilito dall’Ufficio centrale della Corte, è
ineccepibile. Il quesito non è stabilito dal presidente della
Repubblica, il quale si limita a recepire le determinazioni dell’Ufficio
centrale». Un notaio, appunto.
Ma bisogna partire proprio da qui
per capire l’errore del ricorso. Il quale, se avesse contestato la data
del referendum piuttosto che il titolo, forse avrebbe avuto maggiori
chance di riuscita. Secondo Luciani «il problema del quesito esiste, ma
la via scelta dai ricorrenti per affrontarlo non è quella giusta ». Dice
Luciani: «La dottrina ha subito colto una peculiarità della legge di
riforma costituzionale, che non ha un “titolo muto”, cioè non s’intitola
semplicemente “legge di revisione della costituzione”, ma descrive
direttamente alcuni contenuti della riforma. Questa è una novità perché
non è andata così né nel 2001 con la riforma del titolo V del
centrosinistra, né nel 2006 con la cosiddetta riforma Berlusconi».
Ci
siamo, il problema del quesito esiste, in quanto legato al titolo della
legge. Ma dice Luciani: «Un titolo molto articolato, è stato detto, può
già indirizzare la volontà degli elettori. Ma non mi sembra che questo
sia il modo per risolverlo». Luciani, sul Tar, non lascia spazi: «È
molto dubbio che abbia giurisdizione sulla domanda proposta dai
ricorrenti, visto che il quesito referendario è stabilito sulla base
dell’articolo 16 della legge 352 del ’70 dall’Ufficio centrale per il
referendum, organo le cui decisioni non sono impugnabili se non con un
conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Il problema del titolo
della legge avrebbe dovuto essere affrontato in sede parlamentare ».
Quindi «difficilmente il ricorso potrà essere dichiarato ammissibile».
Una cosa è certa, i tempi del responso saranno brevissimi visto che
mancano solo 55 giorni al voto.