Repubblica 22.10.16
Processo al postmoderno tra nuovo realismo e questioni morali
Sul
nuovo numero di “Micromega”lo scambio epistolare tra Maurizio Ferraris e
Paolo Flores d’Arcais: una sintesi efficace di due modalità diverse con
cui superare il pensiero troppo debole
di Roberto Esposito
L’Almanacco
di filosofia di Micromega appena uscito (il 7/2016) si apre con uno
scambio di lettere sul “nuovo realismo” tra Paolo Flores d’Arcais e
Maurizio Ferraris, che conclude un dibattito già iniziato nei fascicoli
precedenti.
In esso i due autori ripropongono le loro posizioni
filosofiche con tono diverso — più apodittico e drammatico da parte di
Flores, più duttile e ironico da parte di Ferraris.
Ad accomunarli
è la passione filosofica con cui difendono i propri punti di vista a
viso aperto e senza cautele diplomatiche. In un ambito, come quello
filosofico italiano, in cui mancano occasioni di dibattito e prevale un
atteggiamento autoreferenziale, questo confronto-scontro costituisce
un’eccezione positiva da salutare positivamente. Gli addetti ai lavori
conoscono le prospettive filosofiche di Ferraris e Flores. Il primo,
maggior interprete del “nuovo realismo”, ha progressivamente affinato la
propria teoria, pervenendo a quello che egli stesso definisce “realismo
positivo”: il reale non è soltanto ciò che dice “no” ai nostri
tentativi di manipolazione, ma anche ciò che, proprio per questo, apre
altre possibilità di intervento, indicandoci cosa si può fare. Il
postmoderno, contro cui il nuovo realismo è nato, non va condannato in
blocco, ma liberato dei suoi aspetti antirealistici e per certi versi
portato a compimento. La stessa decostruzione, che esso ha praticato
fino alla dissoluzione della realtà, va a sua volta decostruita, così da
consentire una nuova ricostruzione. Una volta distinta l’ontologia —
cioè la realtà inemendabile dei “fatti” — dall’epistemologia, è
possibile riconoscere la loro relazione, vale a dire l’emergenza della
seconda dalla prima. I valori, per quanto diversi dai fatti, non sono
indipendenti da essi e anzi in essi radicati.
Molto più tranchant
la posizione di Flores d’Arcais. Il congedo dall’ermeneutica va portato
fino in fondo, non nel senso di un superamento dialettico, ma in quello
di una rottura radicale.
Quella infausta stagione va “seppellita” a
favore di una netta separazione tra scienze dure e scienze umane — che
in realtà non sono affatto scienze. Fra descrizione scientifica dei
fenomeni e prescrizione delle norme — affidata alla libera creazione dei
soggetti — passa un abisso invalicabile. Solo la scienza certifica la
verità delle cose, producendo una conoscenza oggettiva, certa e
cumulativa. Le scoperte scientifiche valide non sono falsificabili da
quelle successive, ma solo integrabili.
L’intera filosofia
continentale, da Hegel a Heidegger, ha prodotto effetti allucinatori,
spiritualistici e cattolicizzanti, che vanno azzerati a favore da un
lato delle certezze scientifiche e dall’altro delle libere opzioni
soggettive.