Repubblica 21.10.16
Task force Italia “Elicotteri pronti per il fronte”
Ci sono i “Mangusta” e gli “NH-90” pilotati dagli uomini del Griffon di base a Erbil, vicino al fronte
Ecco i rischi che possono correre
di Giampaolo Cadalanu
ERBIL
(KURDISTAN IRACHENO). I quattro AW-129 “Mangusta” sembrano insetti,
enormi cavallette verde scuro che si arroventano sotto il sole, sulla
pista di Erbil. Solo i pungiglioni, cannoncini da 20 millimetri, e lo
scarico dei motori sono coperti da un telo che li protegge dalla polvere
irachena. E lo stesso vale per i più massicci e apparentemente più
bonari NH-90, fermi sull’altro lato della striscia di asfalto.
Gli
elicotteri del task group “Griffon” con compiti di “Personnel Recovery”
sono in attesa dell’ordine dal comando della coalizione. Per la squadra
che li adopera il tempo è prezioso: anche i pochi secondi necessari a
togliere un telone rischiano di ritardare gli interventi.
«Dobbiamo
essere in grado di decollare entro un’ora dal primo allarme», dice un
pilota. Perché il compito assegnato è fondamentale: bisogna «riportare
in sicurezza » chi è in difficoltà, siano militari della coalizione o
civili “dotati di status particolare”.
Questa espressione,
spiegano i militari, è riferita soprattutto ai diplomatici. Ma anche se
nessuno può ammetterlo apertamente, è facile immaginare che un
intervento d’emergenza degli elicotteri potrebbe riguardare altri civili
legati alla coalizione, per esempio agenti più o meno clandestini,
truppe speciali non in uniforme, “operatori” che si infiltrano oltre le
linee per “illuminare” i possibili obiettivi dei bombardamenti con i
puntatori laser, e così via.
È sbagliata invece l’idea che il
Personnel Recovery corrisponda all’evacuazione dei feriti. «Se
interveniamo in un’emergenza e dobbiamo recuperare personale della
coalizione, siamo in grado anche di prestare i primi soccorsi a
eventuali feriti. Ma la discriminante è un’altra, è l’isolamento in un
ambiente possibilmente ostile», dice il generale Angelo Ristuccia, che
comanda l’intero contingente italiano a Erbil.
Per questo le
squadre che salgono sugli NH-90 hanno addestramento specifico anche per
compiti non medici. «Pensiamo a un pilota caduto con un caccia o un
elicottero: i nostri sono pronti a tagliare le lamiere per liberarlo in
tempi rapidi, se necessario», aggiunge il comandante.
Gli uomini
della Griffon ricevono anche l’addestramento necessario al
riconoscimento sicuro delle persone da recuperare: «Non vogliamo correre
il rischio di caricare sull’NH qualcuno che indossi una cintura
esplosiva…», scherza ma non troppo un operatore.
L’impegno della
Difesa è partito da una richiesta americana. E ora, superate in fretta
le difficoltà di coordinamento, adesso la squadra è pronta. «Siamo come
meccanismi di fabbriche diverse, che tutti assieme fanno andare avanti
un orologio», sintetizza Ristuccia.
Ma più ancora che per
l’efficacia operativa, la disponibilità della squadra di Personnel
Recovery appare preziosa per garantire all’Italia, secondo contributore
dopo gli Usa, un ruolo significativo nella coalizione su terra irachena.
Alla
base di Erbil si escludono scenari da “Black Hawk down”, con militari
accerchiati e missioni di recupero in mezzo agli integralisti, con fuoco
incrociato e perdite significative. Ma nel contingente italiano i
soldati del Personnel Recovery sono comunque quelli che rischieranno di
più, scendendo a terra in contesti non facili, con tempi d’azione molto
stretti.
Unica sicurezza, la protezione dall’alto: la certezza che
i cannoncini e i lanciarazzi dei “Mangusta” sono presenti a coprire le
spalle di ogni operazione. In questo senso, i militari della Griffon
sono in condizioni migliori dei colleghi americani.
Il Pentagono
ha deciso che gli elicotteri d’attacco AH-64 “Apache” sono necessari in
altre operazioni, così i Black Hawk da trasporto – che operano anche in
Siria, al contrario dei mezzi italiani - devono far da soli, e per
proteggersi possono contare solo sulle mitragliatrici di bordo.