La Stampa 9.10.16
Elezioni in Usa
Ecco i tre motivi per cui la sfida ci tocca da vicino
di Maurizio Molinari
Diritti
delle donne, forza politica del populismo, lotta alle diseguaglianze ed
equilibrio di potere con Vladimir Putin descrivono ciò che c’è in palio
nell’Election Day dell’8 novembre: è una partita con conseguenze su
ognuno di noi di dimensioni tali da spiegare perché «La Stampa» e Sky
Tg24 hanno deciso di unire le forze per raccontarvela assieme su ogni
piattaforma - carta, tv, web, social - come mai è stato fatto.
A
trenta giorni esatti dal voto per la Casa Bianca le rivelazioni
sull’audio di Donald Trump con i volgari insulti alle donne sono una
scossa che suggerisce la volontà di Hillary Clinton di assicurarsi una
«sorpresa d’ottobre» capace di mettere ko il rivale. Trump risponde
preannunciando nel dibattito di questa sera affondi sulle amanti di Bill
Clinton e Wikileaks pubblica trascrizioni di frasi di Hillary ostili
verso il ceto medio. Sono questi colpi bassi a costellare una delle
campagne presidenziali più aspre per l’America e più decisive per le
altre democrazie, Italia inclusa. Se il duello fra l’ex First Lady ed il
magnate di New York ci riguarda da vicino non è solo perché il
«Commander in Chief» diventa all’instante il «leader del mondo libero»,
ma per tre ragioni convergenti che hanno a che vedere con l’Europa:
l’identità dei candidati, le loro ricette economiche e i rapporti con la
Russia di Vladimir Putin.
L’identità dei candidati è il
fattore-chiave. Se Hillary diventerà Presidente la battaglia per i
diritti delle donne, iniziata con la «Declaration of Sentiments» di
Seneca Falls nel 1848, coglierà il risultato più importante con ricadute
a pioggia sulla vita di milioni di persone ben oltre i confini
americani: in un Occidente flagellato da femminicidi, disparità di
trattamenti salariali e retaggi medievali nei rapporti di genere la
presenza della prima donna nell’Ufficio Ovale implicherebbe, sul piano
dell’identità collettiva, un impatto pari, se non superiore, a quello
del primo Presidente afroamericano. Se invece dovesse essere Trump a
prevalere, l’America diventerebbe il primo Paese dell’Occidente guidato
da un leader populista ovvero espressione di una rivolta
anti-establishment già presente in Europa e dunque destinata ad
acquistare forza rispetto ai partiti tradizionali.
I programmi dei
candidati sono espressione di idee opposte dell’America, ma hanno in
comune la volontà di rispondere al disagio di una classe media
flagellata dalle diseguaglianze. Hillary punta su un programma basato
sulla «giustizia economica», possibile genesi di un nuovo modello di
welfare, mentre Trump propone una svolta in chiave protezionista, a
scapito del libero commercio, per far crescere redditi e consumi sul
mercato interno. Dunque, chiunque vincerà offrirà agli altri Paesi
industrializzati un esempio di risposta alle diseguaglianze che frenano
la crescita e fomentano lo scontento dei ceti impoveriti.
Infine,
Vladimir Putin. Il capo del Cremlino è diventato il regista della crisi
siriana, vuole consegnare Aleppo all’alleato Bashar Assad per ipotecare i
nuovi equilibri in Medio Oriente e spinge i suoi bombardieri strategici
fino alle coste atlantiche della Spagna per umiliare la Nato. Dà
l’impressione di sentirsi inarrestabile. Hillary è intenzionata a
sfidarlo a viso aperto, rovesciando la politica estera di Barack Obama,
al fine di «far rientrare l’orso russo nella sua tana» come suggeriscono
alcuni suoi collaboratori mentre Trump è convinto di poter creare un
nuovo rapporto con Mosca senza bisogno di prove di forza. Ovvero:
Hillary o Trump avranno un impatto immediato, e opposto, sui precari
equilibri di sicurezza con Mosca, decisivi per l’intera Europa.