La Stampa 8.10.16
Il match Picasso-Giacometti
Mostri sacri allo specchio
Al
 Museo Picasso 200 opere per il primo confronto critico tra i due 
amici-nemici Li separavano 20 anni di età, li accomunava la capacità di 
anticipare l’arte a venire
di Francesco Poli
Mettere
 a confronto, per la prima volta, in un’esposizione due «mostri sacri» 
dell’arte del XX secolo come Picasso e Giacometti non è solo un’idea di 
sicuro richiamo, ma è anche soprattutto un vero contributo 
storico-critico. Attraverso la visione diretta (comparata e incrociata) 
di circa duecento opere di assoluta qualità proposte in una ben studiata
 sequenza di tredici sale, allo stesso tempo cronologiche e tematiche, 
vengono esplorati i principali elementi di connessione e 
contrapposizione, le influenze reciproche, le problematiche comuni e le 
rispettive idiosincrasie dei due artisti, così diversi fra loro ma per 
una qualche segreta alchimia attratti uno dall’altro.
La relazione
 risulta apparentemente asimmetrica perché quando si incontrano 
all’inizio degli Anni 30, Picasso cinquantenne era il protagonista 
assoluto della scena artistica internazionale, mentre Giacometti 
trentenne, incomincia appena ad emergere nel gruppo surrealista grazie 
alle sue sculture. Arrivato a Parigi nel 1922, studia nell’atelier dello
 scultore classicista Bourdelle e assimila rapidamente tutte le 
suggestioni arcaiste, primitiviste e cubiste dell’avanguardia, avendo 
come principale punto di riferimento proprio l’artista spagnolo. Ma 
l’amicizia che nasce fra i due non è, neanche all’inizio, quella fra 
maestro e allievo, è effetti un rapporto alla pari. Questo si può 
spiegare con il fatto che Picasso, sempre ipersensibile ai cambiamenti 
di clima culturale, è in quel momento in una cruciale fase di svolta, 
quella per così dire di «picassizzazione» delle problematiche 
surrealiste, che si inaugura con la violenta deformazione anatomica del 
Grand Nu au Fauteuil
del 1929 e che si sviluppa con le 
impressionanti metamorfosi plastiche di corpi femminili, appena 
successive, come la monumentale tela Femme lançant une pierre. Picasso è
 profondamente colpito dai lavori di Giacometti, come la Boule suspendue
 una sfera sospesa con una fenditura che oscilla su un’affilata forma a 
mezza luna) e la Femme égorgée, una mostruosa e raffinata figura di 
donna-mantide mutilata.
Queste e altre opere affini dei due 
artisti si possono vedere insieme nella sezione più significativa della 
mostra, quella dedicata al perverso intreccio (così freudiano e 
surrealista) fra Eros e Thanatos, dove l’immaginario sessuale è 
strettamente connesso alla violenza e agli istinti aggressivi. Picasso e
 Giacometti frequentano, in quel periodo, la cerchia di Bataille, e 
entrambi a loro modo interpretano l’estetica della mostruosità 
teorizzata da quest’ultimo, mettendo in gioco proprie personali 
ossessioni (in modo più esplicito Giacometti), forse anche con una certa
 ironia (più evidente in Picasso). L’altro punto nodale dell’interesse 
comune (anche se con essenziali differenze) è quello legato al dibattito
 sul realismo, che emerge negli anni cupi e tragici della guerra. 
Picasso reagisce all’impatto drammatico della realtà storica sviluppando
 alla fine degli Anni 30 una figurazione di esplosiva violenza plastica,
 in particolare nei suoi ritratti e nudi (quelli di Dora Maar) e nella 
ricerca che culmina con Guernica. Da parte sua Giacometti, dopo aver 
rotto con i surrealisti, mette in atto, negli stessi anni la sua 
definitiva svolta realistica, iniziando a modellare direttamente dal 
vero le sue famose figure. A interessarlo è innanzitutto la realtà 
dell’essere umano, «l’esserci» inafferrabile della sua profonda identità
 individuale d’esistenza, una realtà che diventa sempre più fragile e 
sottile, e che sembra progressivamente erosa dallo spazio circostante. 
La dimensione «esplosiva» di Picasso e quella «implosiva» di Giacometti 
dialogano (o litigano) in una magnifica sala che presenta due serie di 
ritratti di donne amate. Si tratta dei quadri con le sconnesse sembianze
 di Dora Maar, e delle bronzee filiformi statue, busti e teste della 
futura moglie Annette.
Un confronto interessante e anche quello 
fra sculture di animali realizzate intorno al 1950. Da un lato c’è la 
grassa capra di Picasso, l’originale fatto con un assemblage di oggetti 
compattati con il gesso, e dall’altro lo scheletrico cane di Giacometti,
 metafora ironica della disperata solitudine dell’esistenza randagia. 
Queste due opere esemplificano molto bene la distanza ormai incolmabile 
fra le rispettive visioni del mondo dei due artisti. Ed è proprio negli 
Anni 50, dopo due decenni di amicizia anche molto stretta, che avviene 
una frattura insanabile fra i due. Secondo Françoise Gilot, la compagna 
di Picasso dell’epoca, la rottura era avvenuta a causa di una violenta 
collera di Giacometti, a cui avevano riferito che Picasso aveva posto il
 veto all’entrata dello scultore tra gli artisti della Galerie Louise 
Leiris, dove lui era il dominatore incontrastato. Un’altra 
interpretazione l’ha data James Lord, amico e biografo di Giacometti, 
che ha scritto che il motivo sarebbe stato una critica di tipo etico 
dello scultore nei riguardi di Picasso, e cioè l’accusa di essere 
diventato una «vedette» mondana. Ma la verità è che tutti e due era 
diventati delle star dell’arte, vivendo uno in ville sontuose e l’altro 
per tutta la vita nel suo povero atelier di rue Mendron.
 
