mercoledì 5 ottobre 2016

La Stampa 5.10.16
I pescatori occupano il mare
“Basta esercitazioni militari”
Protesta nel golfo di Oristano: “Ci impediscono di lavorare”
di Nicola Pinna

La piccola chiatta verde di Emilio Pani in mezzo al mare sembra una noce in balia delle onde: di fronte al pattugliatore della Guardia di Finanza quasi non si vede. Ma lui, da solo al timone, sfida il gigante: «Questa volta non ci fermiamo». Centocinquanta barche e seicento pescatori lo seguono. Le motovedette tentano di mettersi di traverso, ma i pescherecci non si fermano all’alt. Si rischia lo speronamento e via radio i pescatori coordinano l’attacco: «Chi entra per primo?». I cacciabombardieri dell’Aeronautica sono costretti subito a fermarsi: due passaggi e poi via. Stop ai bombardamenti, esercitazione immediatamente sospesa. Da oggi il mare intorno al poligono è occupato: «Noi qui vogliamo lavorare, i militari hanno invaso la nostra casa da più di mezzo secolo. Ora ce la riprenderemo».
Nella zona di Capo Frasca, sulla costa occidentale della Sardegna, si addestrano i piloti della flotta italiana e di quella tedesca. Su questo promontorio, tra gli stagni e il golfo di Oristano, c’è un gigantesco poligono di tiro aereo e il tratto di costa è off-limits tutto l’anno. In certi periodi si può solo passare, in altri bisogna stare alla larga: invadere questa fascia di tre miglia è vietato. I militari non fanno sconti: «I radar segnalano subito qualsiasi presenza e le motovedette arrivano a tutta velocità - racconta Raffaele Manca -. Se superiamo il limite, anche solo per errore, rischiamo una multa da quattromila euro e addio licenza di pesca».
Le esercitazioni d’autunno sono iniziate ieri, ma alla guerra simulata dell’Aeronautica i pescatori rispondono con una battaglia vera. Sono arrivati da mezza Sardegna: da Cabras, la marineria più grossa della Sardegna, ma anche da Terralba, Cuglieri, San Vero Milis, Arbus e qualcuno anche dal Sulcis e dalla zona di Bosa. Senza bandiere, per gridare tutti la stessa richiesta: «Liberino questo mare o almeno riducano i vincoli - dice Franco Zucca, presidente del Consorzio di Merceddì -. Ci permettano di pescare oppure ci paghino gli indennizzi».
Antonio Serra è tornato in Sardegna dopo 15 anni di lavoro (ben pagato) in Svizzera e oggi combatte in prima linea: «Ho fatto l’errore della vita, ho comprato una barca e mi sono messo a pescare. Credevo che avrei assicurato un futuro ai miei figli, invece a 64 anni non riesco a garantire il necessario alla famiglia. I militari ci devono restituire il territorio». Sandro Piscedda è stato il primo a chiamare a raccolta tutti i pescatori: «Da anni chiediamo che ci ascoltino, ma le nostre richieste vengono ignorate. Perché noi non possiamo lavorare in questo tratto di mare?».
Il ritrovo è all’alba. Nel porticciolo di Marceddì, quello più vicino alla base, si aspetta che arrivino i pescherecci partiti dal resto della provincia. Quelli di Cabras sono i più numerosi. E anche i più agguerriti. Pierpaolo Manca incita i colleghi: «Invadiamo il poligono e blocchiamo subito l’esercitazione. Dobbiamo restare qui finché il ministero non prende un impegno serio».
In Sardegna in questi giorni il tema delle servitù militari ha riacceso le tensioni. L’isola ospita il 65 per cento delle basi italiane e ancora non si è fatta chiarezza sulla questione delle contaminazioni dei territori intorno ai poligoni. Tutti argomenti all’attenzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sbarcata sull’isola lunedì. «Noi aspettiamo qui l’arrivo dei commissari - annuncia Giovanni Mele -. Non siamo contro i militari, ma non possiamo essere sfrattati da casa nostra per i giochi di guerra».