La Stampa 31.10.16
C’è una metà dell’America che trema a votare una donna
L’ex First lady spacca il Paese e fatica a conquistare i cuori
di Gianni Riotta
A
Elliott County, Est Kentucky, 7648 abitanti, non troppi di più di
quando venne fondata, nel 1869 da 4433 anime, non si beve bourbon
whiskey, la contea è proibizionista assoluta. In America ormai il 14%
dei cittadini è nato all’estero, con punte del 40% a Los Angeles e 36% a
New York, ma Elliott County è «nata in America» al 100%, i residenti
tutti eredi di irlandesi e scozzesi arrivati con il pioniere Daniel
Boone nel 1775. Gente tosta, che da un secolo e mezzo vota i
democratici, resistendo fedele alle sirene repubblicane. Eppure, tra
quelle boscaglie iper democratiche Hillary Rodham Clinton ha perso
contro il socialista Bernie Sanders, alle primarie, 53% a 36%. Perché
Hillary Clinton sta creando una coalizione politica che spacca gli
elettori, dentro e fuori i partiti. Guardate la mappa di New York, Stato
democratico, martedì 8 sarà tutta colorata in rosso per Trump, con tre
soli punti blu, le città di New York, Rochester e Buffalo, a dare la
maggioranza a Hillary.
Con lei donne, sindacati, studenti,
impiegati, ceti urbani cosmopoliti, tecnocrati, «chi ha il passaporto
vota Clinton, chi ha la patente vota Trump» sorride uno studioso di Big
Data. Con la new economy, Hillary schiera le minoranze, afroamericani e
ispanici. Al Javits Center, orrendo scatolone di vetro sul fiume Hudson
dove aspetterà i risultati, a Hillary basterà contare il 40% del voto
bianco e il 60% del voto di minoranze e sarà eletta. Trump ha
raggranellato in Florida, dove è in sottile vantaggio, l’11% tra i neri e
il 30% tra gli ispanici: gli inorriditi media liberal gli danno del
«razzista, misogino, stupratore, fascista», non spiegando però come mai
un terzo dei latino americani, contro cui invoca il muro anti-messicani,
lo voterà.
La spiegazione è che Hillary non piace ai campagnoli
di Elliott, come ai tradizionalisti metropolitani di Miami. Nei campus
delle università non vedrete un manifestino per lei, un docente di studi
afroamericani mi spiega «Non voto Hillary, è neoliberale, come Obama
che non ha fatto nulla per i neri poveri». Ma una professoressa,
femminista storica, mi tira per un braccio dentro il suo studio «Tengo
il poster di Hillary nascosto dietro la porta. Sai perché? Perché il
grande segreto 2016 è che siamo a mezzo passo dall’eleggere la prima
donna presidente dal 1776, rompendo la più feroce segregazione della
storia dell’umanità, e di che si parla? Di mail, polmonite, Putin,
Wikileaks! Hillary bugiarda, Hillary da liberista a protezionista,
Hillary che si sposta a sinistra, Scandalo, Vergogna. Lo facesse un uomo
direbbero che volpe, machiavellico, un leader. Trump ha la maggioranza
tra i maschi perché l’America ha eletto un afroamericano nel 2008, ma
nel 2016 le trema la mano a votare per una donna».
Il doppio
standard maschile pesa come un macigno. Hillary è stata una pessima
candidata, vero. Ma, come sempre, First Lady in Arkansas e a Washington,
senatrice di New York, segretario di Stato, le è proibito mostrare le
sue emozioni. Tradita dal marito dovette giustificarlo, investita dalla
destra per la sua fallita riforma sanitaria 1994 (ma forse il testo di
Hillary è migliore del pasticciaccio Obamacare, i cui costi salgono ora
del 25%) e per il raid terrorista a Bengasi, battuta dall’Obama
candidato e zittita dal presidente su Egitto, Libia, Siria e Russia,
malgrado avesse ragione, Hillary indossa ovunque una maschera
impenetrabile, tailleur pantaloni, make up, sorriso. La «donna» Hillary
Rodham Clinton, che lesse 43 biografie di First Lady (43!) per
prepararsi, che il giorno in cui Bill Clinton scampa all’impeachment per
Monica tiene una riunione per programmare la corsa al Senato, che
scrive un best seller sulla pedagogia «perché nessuno mi chiamava al
telefono», e che a Pechino esclama «I diritti delle donne sono diritti
umani!», è nascosta dietro la maschera del «battere Trump», che i
repubblicani si accingono a mettere sotto inchiesta nel 2017.
«Non
esiste una formula, o almeno io non la conosco, per essere oggi donna
di successo, soddisfatta. Sarebbe più facile avere un modello, come le
nostre mamme e nonne. Ma non è più così: per fortuna» scrive la giovane
Hillary che, anni dopo, matura, confessa all’amica Diane Blair: «Noi
donne siamo come i canarini in gabbia che i minatori tengono per
scoprire le fughe di gas. Ogni tanto battiamo le ali un po’ più forte,
cinguettando su quel che vediamo intorno, felici se magari ci ascoltano
fuori dalla gabbia». Una gabbia bisecolare che Hillary Rodham Clinton
vuole infine spalancare, ma chi vuol tenerla chiusa userà ogni mezzo per
impedirglielo.