lunedì 24 ottobre 2016

La Stampa 24.10.16
L’incertezza sui negoziati Brexit fa fuggire le banche dal Regno Unito
I grandi gruppi temono che la politica anti immigrazione faccia scattare ritorsioni
Il governo pensa di invogliarle a restare con la riduzione al 10 % della corporate tax
di Alessandra Rizzo

I grandi gruppi bancari si stanno preparando ad abbandonare il Regno Unito nei primi mesi dell’anno prossimo, a causa dell’incertezza nei negoziati sulla Brexit. E le banche più piccole potrebbero fare le valigie entro Natale. A rivelarlo è Anthony Browne, il presidente dell’Associazione dei Banchieri Britannici. «Hanno il dito che freme sul bottone del trasferimento», ha spiegato.
In un articolo dai toni duri e allarmati pubblicato sul domenicale «The Observer», Browne ha spiegato che il settore bancario è quello che rischia di più con la Brexit, sia nel grado d’impatto, sia nella portata delle implicazioni. E ha sottolineato come sia impossibile per le banche aspettare fino all’ultimo minuto l’esito di negoziati commerciali complessi. «Le banche possono sperare per il meglio, ma devono prepararsi al peggio», ha detto. «Per loro Brexit non significa solo l’imposizione di tariffe supplementari al commercio, com’è probabile che sia per gli altri settori; si tratta di vedere se possono continuare ad avere il diritto legale alla prestazione dei servizi».
Il nodo centrale sta nei «passporting rights», il diritto che permette ad una banca di fornire servizi in tutto il resto del mercato unico senza ulteriori permessi. Questo ha consentito alle banche internazionali di avere base a Londra e poter operare nel resto del continente. Ma Theresa May ha fatto capire di voler dare la priorità al controllo dell’immigrazione, cosa incompatibile con l’accesso al mercato unico. Soluzioni di compromesso, simili ma inferiori al «passporting», non saranno sufficienti secondo Browne a trattenere le banche nella capitale britannica. Il timore principale è che i governi Ue vogliano erigere barriere commerciali per danneggiare la City. Le banche internazionali, ha detto ancora, hanno già messo in piedi gruppi di ricerca per capire quali operazioni trasferire e quando: «Molte banche hanno in programma di iniziare a muoversi prima di Natale; le banche più grandi inizieranno nel primo trimestre del prossimo anno».
Per il Governo britannico, si tratta di un tassello cruciale nel difficile puzzle del negoziato. Dovrà trovare il modo di salvaguardare un settore, quello finanziario, che impiega qualcosa come due milioni di persone e rappresenta circa il 12% dell’intera economia del Paese. Ma i segnali non sono buoni. Già nelle settimane scorse i media britannici avevano scritto che Goldman Sachs potrebbe trasferire duemila persone, circa un terzo dei dipendenti nel Paese, fuori da Londra. JP Morgan potrebbe fare lo stesso. Secondo alcuni studi, la perdita dei «passporting rights» potrebbe portare alla perdita di 70 mila posti di lavoro. Tra le ipotesi possibili, il Governo starebbe pensando, secondo il «Sunday Times», ad un abbassamento delle corporate tax al 10% per invogliare le aziende a restare nel Paese. Browne ritiene che, nonostante tutto, Londra resterà un centro finanziario globale anche nel dopo Brexit. Ma, dice, erigere barriere commerciali nei servizi finanziari non potrà che peggiorare la situazione da entrambi i lati della Manica.