sabato 22 ottobre 2016

La Stampa 22.10.16
Nel Nevada che sta con Donald
“Vincerà lui o sarà la rivoluzione”
Salari bassi e clandestini alimentano la rabbia dei bianchi
di Liliana Faccioli Pintozzi

È alto e snello; può avere tra i 35 e i 50 anni. Impossibile dirlo, con gli occhiali da sole a proteggere lo sguardo. La barba è sale e pepe, la maglietta non lascia spazio a dubbi: «Hillary For Prison 2016». Bill è nel parcheggio del «Master at Arms», lì dove per meno di 350 dollari ti porti via una pistola, e oggi gli Ar-15 sono in offerta: «Donald Trump è l’uomo giusto per il lavoro» dice con un gran sorriso soddisfatto, e non è solo la difesa del Secondo emendamento: «Il governo fa un passetto alla volta, un giorno ti toglie la pistola, il giorno dopo tutti i tuoi diritti»; non è solo la rabbia del redneck lasciato indietro dalla crisi, «non vediamo un aumento da 12 anni»; non è solo la rivolta contro il politicamente corretto, «mia moglie parla peggio di Trump quando esce da sola con le amiche». È tutto questo, tutto insieme: è la certezza che il paese stia «andando a rotoli».
Benvenuti a Pahrump Contea di Nye, al confine tra Nevada e California; panorami da selvaggio West, e il Mom’s Family Diner – tavoli di legno e sedie con l’imbottitura rossa – a fare da saloon. Se Bill rappresenta lo zoccolo duro degli elettori di Trump, con lui ci saranno quelli che voteranno tappandosi il naso come Milk, veterano 71enne, che sotto i baffi ride «è ridicolo, nessuno dei due dovrebbe correre per la Presidenza», ma poi lo sosterrà perché «pensa ai militari e riporterà il lavoro qui»; o come Tom, carpentiere 52 anni, «voterei chiunque, basta che non sia lei a vincere». Parlano volentieri, tra una tazza di caffè e un sandwich al formaggio; roccaforte repubblicana, per ogni democratico ci sono almeno due conservatori. Venticinquemila abitanti, più del 90% è bianco: lavoratori edili, agricoltori e pensionati. Dormitorio per Las Vegas, città dei casinò e delle conferenze, dei sindacati e delle minoranze.
Le due facce del Nevada, «swing state» per eccellenza, fotografia degli Stati Uniti. Uno stato dove le minoranze - 27,8% latinos, 9,1% afroamericani, 8,3% asiatici – diventeranno presto maggioranza; e dove più del 70% della popolazione vive in agglomerati urbani. Caratteristiche che lo rendono rappresentativo delle aree degli Usa che decideranno le elezioni. Uno stato dove la questione principale rimane quella economica: «La situazione sta migliorando, il mercato immobiliare è in ripresa, ma i salari sono molto bassi e spesso la gente deve fare due lavori; e poi c’è il dossier immigrazione, qui c’è una grande comunità di irregolari e le loro famiglie guardano con attenzione alla questione della cittadinanza e del controllo delle frontiere» riassume la professoressa Tiffany Howard, della Las Vegas University.
Se sull’economia può convincere, Trump qui sembra essersi alienato troppi voti con le sue posizioni su immigrati e minoranze per potercela fare. Forse. «Io sono in un sindacato, i capi hanno dato l’endorsement a Hillary, ma noi voteremo tutti per Donald, anche gli ispanici» racconta ancora Bill che bolla i sondaggi come «carta straccia». È sicuro di vincere, e in caso contrario si prepara al peggio. «Faremo la rivoluzione. Siamo 350 milioni, abbiamo 300 milioni di armi, e il nostro esercito non si rivolterà contro di noi. Non voglio che accada, saremmo schiacciati dai cinesi o russi, ma che dobbiamo fare…». Bill parla mentre un rilevamento della Nbc fotografa il malessere dei repubblicani: il 45% di loro dice che potrebbe non accettare il risultato elettorale. Come ha minacciato Trump. E Intanto, oggi, qui si comincia a votare.