domenica 16 ottobre 2016

La Stampa 16.10.16
Dalla Siria al Libano i tesori pre-islamici diventano bottino dei predatori del Califfo
Migliaia di siti devastati: il traffico frutta il 20% dei guadagni totali
di Giordano Stabile

Il saccheggio dei siti archeologici in Siria, Iraq, Libia, è stato trasformato dall’Isis in un’industria che produce da un decimo a un quinto di tutti i suoi introiti. La vendita dei reperti ha fatto incassare agli islamisti fino a 100 milioni di dollari nel 2014 e circa la metà nel 2015, anche se nel corso di quest’anno la perdita di territorio e la chiusura dei valichi al confine con la Turchia ha ridotto notevolmente i traffici. Per l’ideologia salafita estrema dello Stato islamico tutte le rappresentazioni religiose pre-islamiche sono da cancellare in quanto pagane, e lo stesso vale per i santuari sciiti e sufi. La distruzione degli antichi templi procede di pari passo con la spoliazione di opere d’arte trasportabili, come si è visto a Palmira. Statue di piccole dimensioni, parti di bassorilievi, gioielli sono prelevati sistematicamente.
Solo in Siria ci sono 9 mila siti archeologici catalogati e al culmine della sua espansione, nell’agosto 2015, l’Isis controllava metà del territorio siriano. È a metà del 2014 che il saccheggio è stato trasformato in industria. L’idea è venuta ad Abu Sayyaf, «ministro del petrolio» del Califfo, poi eliminato in una raid americano nel 2015. Nel giro di pochi mesi Abu Sayyaf aveva creato un catalogo di tutti i siti «più promettenti» e una sistema di «licenze» per incoraggiare la popolazione locale a intraprendere scavi artigianali. I prodotti venivano poi ceduti a una rete di trafficanti autorizzati e Abu Sayyaf tratteneva «per il Califfato», ma anche per se stesso, una tassa del 20%.
Un rapporto del Dipartimento di Stato americano del settembre 2015 stimava gli introiti dell’Isis nel 2014 in un miliardo di dollari. Il rapporto sottolineava che le donazioni esterne hanno un ruolo marginale. La maggior parte degli incassi vengono «dal controllo del territorio» e le antichità «sono una delle risorse» significative sfruttate dagli islamisti. Per il Dipartimento cinquemila siti archeologici si trovavano nei territori Isis a metà del 2015, fra Siria e Iraq. I ricavi erano dell’ordine di «milioni di dollari». Un rapporto del governo inglese del marzo 2016 calcolava invece le entrate dello Stato islamico per il 2015 in calo a 600 milioni. Per il 40% provenivano dal traffico del petrolio con la Turchia, per un altro 40 da tassazione locale e per il 20 dal contrabbando di reperti e donazioni esterne.
La politica dell’Isis è quella di massimizzare i profitti. I siti vengono devastati con l’uso di bulldozer, martelli pneumatici, ma i tombaroli usano anche strumenti più sofisticati, come metal detector specializzati nell’individuare oro e altri metalli preziosi. I reperti sottratti alle antiche città romane della Libia prendono la via del mare, i ritrovamenti nelle aeree del Nord della Siria, anche in zone controllate da ribelli non-Isis come il sito di Apamea, vengono contrabbandati verso la Turchia. Il grosso di quelli trovati nello Stato islamico in Siria e Iraq arriva però in Libano attraverso le zone montagnose di confine in parte ancora controllate da ribelli e Isis. Nell’ottobre 2015 l’Ambasciata italiana e il ministro della cultura libanese Raymond Areiji hanno avviato una collaborazione per frenare i traffici.
Secondo l’archeologo Assaad Saif ogni anno vengono intercettati in Libano 40-50 manufatti trafugati in Siria o Iraq, alcuni del valore «fino a 200 mila dollari». Il Paese dei cedri è un centro di smistamento da ben prima dell’Isis. Anche perché fra terrorismo e traffico d’antichità c’è una lunga storia di affinità. Nel 1999, mentre raccoglieva fondi per finanziare gli attacchi alle Torri Gemelle, Mohammed Atta cercò di vendere in Germania reperti trafugati dall’Afghanistan in Germania.
Dal 1983 un trattato dell’Unesco, sottoscritto da 90 nazioni, proibisce il contrabbando di oggetti archeologici. Lo stesso Unesco però stima in «7 miliardi di dollari» il volume di traffici a livello mondiale.