La Stampa 12.10.16
Pd, le ragioni che allontanano la scissione
di Federico Geremicca
Allontanata
dagli stessi potenziali protagonisti come chiacchiericcio o ipotesi da
film di fantascienza, una scissione all’interno del maggior partito
italiano rischia - al contrario - di trasformarsi nell’approdo possibile
(se non inevitabile) di una crisi interna che si trascina, di fatto,
dal giorno dell’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd.
I
maggiori «sospettati» di lavorare alla divisione del Partito democratico
(e cioè Bersani, Speranza e Cuperlo, leader delle minoranze interne)
hanno nettamente smentito, ieri, di avere nell’orizzonte una tale
possibilità. Qualcuno (Bersani) lo ha fatto con la tradizionale ironia:
ci vuole l’esercito della Pinotti per cacciarmi via; qualcun altro
(Speranza) rifiutando addirittura di entrare nel merito della questione:
per me la scissione non esiste. Ma è la motivazione con la quale Gianni
Cuperlo ha negato l’ipotesi, invece, a permettere un minimo di
ragionamento su quel che il futuro potrebbe davvero riservare.
«Quando
la sinistra si è divisa - ha annotato Cuperlo - la mattina dopo non si è
risvegliata più forte e autorevole, né con maggiori consensi: ma
solitamente più fragile».
Potrebbe sembrare una dichiarazione
rassegnata o pessimista: in realtà, è solo la fotografia di quel che è
accaduto in epoca ragionevolmente recente (escludendo, dunque, la
scissione che portò, a Livorno, alla nascita del Pci). È una
considerazione sottoscrivibile anche oggi, in presenza - cioè - di un Pd
che si starebbe «spostando a destra sotto la spinta «modernista» di
Matteo Renzi?
Ovviamente, nulla di certo può esser detto in
assenza di controprove (che almeno a parole, per altro, nel Pd nessuno
dice di voler cercare). Ma poiché dall’avvento dell’«usurpatore» (Renzi,
naturalmente) diversi abbandoni eccellenti hanno già punteggiato la
vita del Pd, qualche valutazione è forse possibile. L’addio al partito
democratico di personalità come Cofferati, Civati, D’Attorre e altri non
è paragonabile - in tutta evidenza - ad una eventuale scissione di
tutte le minoranze che oggi vivono nel Pd: eppure, quegli addii qualcosa
forse insegnano.
La prima, è che il vizio capitale della sinistra
italiana (divisioni, appunto; gelosie, personalismi e leaderismi poco
sostenuti dal necessario consenso) sembra tutt’altro che guarito. Tra
Rifondazione comunista, Sel, Possibile e quant’altro, è in atto da mesi
una sorta di inconcludente «guerra fredda», intorno alla cessione di un
briciolo di sovranità che permetta la nascita di un soggetto politico
unitario (cosa che Sinistra italiana, in tutta evidenza, ancora non è).
Si è infatti osservato un tourbillon di veti incrociati e leaderismi che
ha fatto gettare la spugna perfino all’uomo che da più parti veniva
indicato come il possibile leader di un nuovo partito della sinistra: e
cioè Maurizio Landini, letteralmente scomparso, da qualche tempo, dai
radar della politica italiana (non certo, naturalmente, del
sindacalismo...).
La seconda cosa che quegli abbandoni dovrebbero
aver insegnato, è che non basta autoproclamarsi «più di sinistra» per
aver successo in un mercato politico le cui regole e il cui tasso di
ideologizzazione sono profondamente cambiati. E’ una banalità: ma molte
delle risposte e delle ricette tradizionali della sinistra (non solo
italiana) non funzionano più. E basta volgere lo sguardo alle dinamiche
in atto nell’intera Europa per riceverne conferma.
Dunque,
ricostruire una credibile (e appetibile) sinistra di governo, non è
opera semplice. E immaginare di farlo a partire da una scissione che i
più interpreterebbero come semplice insofferenza verso l’attuale
segretario, potrebbe rendere l’impresa ancor più spericolata. È per
questo che una scissione del Pd non sembra ragionevolmente alle porte.
Per questo e per altro, naturalmente. Compresa una banale, seppur
remissiva, considerazione: che i leader passano e i partiti - salvo
scatafasci - restano. Il Pd, onestamente, avrà molti problemi ma non
sembra certo sull’orlo di un tracollo. Tutto, dunque, consiglierebbe
alla minoranza pd di restare dov’e e continuare dall’interno la propria
battaglia. Ma gli umori sono quelli che sono: e non è detto che logica e
prudenza alla fine abbiano il sopravvento.