lunedì 10 ottobre 2016

La Stampa 10.10.16
Una strada sempre più stretta
di Federico Geremicca

Bersani dice «trattato come un rottame, voterò no». E Roberto Speranza aggiunge «il tempo è scaduto, voto no». Con due interviste concesse prima ancora di attendere la riunione della direzione convocata per oggi, la minoranza pd ha ufficializzato ieri la propria posizione sul referendum del 4 dicembre: favorendo, quantomeno, un po’ di chiarezza.
Ora, infatti, si può dire che tutte le carte siano davvero sul tavolo: e sono carte, a conti fatti, che non dovrebbero far sorridere Matteo Renzi.
Basta guardare ai numeri. Stando agli schieramenti così come sono oggi rappresentati in Parlamento, il quadro - alla grossa - può esser riassunto così: con il premier e per il sì sono schierati parte del piccolo e confuso arcipelago centrista e la maggioranza del Pd. Tutti gli altri - dall’estrema destra all’estrema sinistra - sono attestati sull’altra sponda: a occhio e croce (e stando alle attuali rappresentanze parlamentari) un rapporto di almeno 75 a 25 a favore del No, ad esser generosi con il Sì.
Può darsi che per un leader che è solito sviluppare la propria azione politica in opposizione a nemici veri o creati ad arte, le ultime scelte di campo non siano poi così preoccupanti: ma certo ritrovarsi contro - e tutti assieme - i «professionisti della tartina» e la Cgil, piuttosto che i gufi, i professoroni e i rottamati di ogni latitudine, qualche preoccupazione (e qualche riflessione) dovrebbe indurla. Così, invece - almeno per ora - non è: e non è detto che non esser riuscito ad allargare il fronte del sì non diventi, tra qualche settimana, terreno di una ulteriore autocritica, come accaduto per l’eccessiva personalizzazione della battaglia referendaria.
Sia come sia, il dado - anche in casa Pd - ormai è tratto: e fermo restando il fatto che l’ufficializzazione del no da parte della minoranza Pd non porterà per ora ad alcuna traumatica separazione, resta da interrogarsi sul senso e sull’utilità di una riunione di direzione (quella di oggi, appunto) quasi completamente svuotata di senso. Ancora ieri sera, infatti, c’era incertezza circa la strada che sceglierà il premier-segretario con la sua relazione: se tentare di recuperare il dissenso interno con una convincente proposta di modifica dell’Italicum oppure - più probabilmente - andare avanti con la ruspa, limitandosi a contestare a Bersani e compagni una posizione preconcetta (il no al referendum prima ancora di attendere la riunione della direzione del partito).
Ci si potrebbe chiedere, naturalmente, il senso - anche tattico - di un annuncio (quello del no al referendum) che la minoranza Pd avrebbe potuto ufficializzare alla fine - piuttosto che alla vigilia - di una direzione pure invocata da tempo. Le risposte offerte - non lasciare altro spazio all’iniziativa di Massimo D’Alema oppure interrompere un minuetto sempre più simile a una presa in giro - convincono fino a un certo punto. Ma insistiamo: la scelta ha il pregio di sciogliere un equivoco e fare chiarezza all’interno di un partito che è in una situazione paradossale, se si riflette sul fatto che dei quattro segretari che si sono succeduti alla guida del Pd dalla fondazione all’avvento di Renzi, due (Veltroni e Franceschini) sono per il Sì e altri due (Bersani ed Epifani) sono col No.
In fondo, fare chiarezza non è poco, all’interno di una campagna costantemente punteggiata da disinformazione e vere e proprie falsità. Non ha alcun senso, per dire, descrivere l’Italia come un Paese in bilico tra dittature sudamericane o paradisi in terra, a seconda dell’esito del referendum. Così come ha ancora meno senso - ed è perfino meno onesto - promettere in caso di sconfitta del Sì un nuovo assetto del bicameralismo paritario (dopo un no del popolo a questo referendum) o una nuova legge elettorale, sapendo che nessuna larga intesa tra i partiti è al momento - e forse non solo al momento - seriamente possibile. Ma tant’è: sta andando così. E l’unico elemento di vera consolazione è che il 4 dicembre è sempre meno lontano.