La Stampa 10.10.16
Il grande attacco a Renzi
Il Pd vicino alla frattura e il dilemma del premier
Oggi in Direzione deve scegliere se usare il bazooka o tendere la mano ai dissidenti, tra i quali avanza Marino
di Fabio Martini
Oggi
pomeriggio direzione cruciale del Pd: si annuncia una resa dei conti
fra il segretario Renzi e l’opposizione interna guidata da Bersani,
Cuperlo e D’Alema, che renderà palese il voto contrario al referendum
costituzionale del 4 dicembre.
Alle cinque della sera,
davanti alla Direzione del Pd, verrà formalizzata la separazione legale
tra Matteo Renzi e la minoranza del partito in vista del referendum del 4
dicembre: sarà il primo atto di un possibile, clamoroso divorzio, tante
volte annunciato, ma che una eventuale vittoria del «sì» renderebbe
concreto? Per ora una sola certezza: l’opposizione interna - guidata da
Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Gianni Cuperlo - ufficializzerà la
decisione di votare «no», al referendum: un comportamento elettorale
clamoroso, anche perché capovolto rispetto alle indicazioni del partito e
in contraddizione rispetto a come votarono in Parlamento molti degli
esponenti della minoranza. La decisione è stata anticipata venerdì notte
da Pier Luigi Bersani in un pubblico dibattito e in una intervista
pubblicata ieri dal «Corriere della Sera», dunque in anticipo con la
attesa Direzione del Pd, convocata alle 17 di oggi per ascoltare la
proposta di modifica della legge elettorale che avrebbe dovuto fare
Matteo Renzi.
Ma oggi nulla vieterebbe al segretario di presentare
la propria proposta di mediazione, provando a mettere in difficoltà la
minoranza con proposte «ragionevoli», come l’abolizione dei capolista
bloccati. Ma lo farà? Oppure preferirà caricare il bazooka contro la
propria minoranza, evidenziandone le contraddizioni? Ieri sera Renzi non
aveva deciso quale privilegiare tra le due opzioni e all’ultimo momento
potrebbe decidere per una sintesi.
Vicenda significativa, quella
interna al Pd, perché la minoranza potrebbe trascinare sulla propria
posizione una quota significativa dell’elettorato democratico (un
quinto? Un quarto?), anche se la partita per la vittoria al referendum
sembra destinata a giocarsi in un campo più vasto. E da questo punto di
vista nelle ultime ore sono emerse due novità: da una parte la decisione
di Renzi di personalizzare ancora di più la campagna referendaria,
dall’altra l’emersione dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. liberato
dal peso processuale, come possibile alfiere-portavoce del «no». La
super-personalizzazione da parte del presidente del Consiglio è stata
confermata con la decisione di accettare anche l’invito dell’«Arena», il
talk show della domenica su Raiuno, Incalzato dalle domande e dalle
interruzioni di Massimo Giletti, che non ha voluto smentire il ruolo di
intervistatore scomodo, il presidente del Consiglio ha lanciato due
messaggi. Il primo: «Se vince il “no”, non cambia niente per il Paese.
Continueremo con il Parlamento più costoso e più numeroso». Il secondo
mirato contro la minoranza del Pd: «Nel partito è un anno e mezzo che mi
danno contro, l’unico obiettivo è attaccarmi», «ma quando uno vota per
antipatia mostra di avere scarsa visione per il Paese. Bersani ha votato
sì tre volte a questa riforma. Ma se lui cambia idea per il referendum,
ciascuno se ne farà una opinione». Bersani replica in serata: «La
solita ipocrisia di chi fa finta di non capire. Con la nomina dei
senatori e dei deputati e con la democrazia del capo, la riforma è
indigeribile. Da sempre questa è stata la mia posizione».
Altrettanto
significativo il «ritorno» di Ignazio Marino. Intervistato da Lucia
Annunziata su RaiTre, l’ex sindaco, oltre a picchiare duro su Renzi e i
renziani, si è riproposto con un profilo «liberal», da alfiere dei
diritti civili, da sostenitore tradito dei valori meritocratici del
primo Renzi. Un profilo diverso da quello “comunista” della minoranza Pd
e anche per questo più temibile. Come conferma la grandinata di
richieste di partecipare ad iniziative, piovute su Marino da tutta
Italia.