domenica 9 ottobre 2016


internazionale 8.10.2016
L’inglese è la lingua più strana del mondo
di John McWhorter, Aeon, Regno Unito.
Tendiamo a pensare che l’inglese si sia imposto grazie alla sua semplicità.
In realtà è una lingua bizzarra, le cui regole sono il risultato di una storia tortuosa

Chi parla inglese sa che è una lingua strana, e lo sanno tutti quelli che sono costretti a impararlo. La prima stranezza riguarda lo spelling, il modo in cui si scrivono le parole, che è un vero incubo. Nei paesi dove non si parla inglese non esistono le “gare di spelling”. Nelle lingue normali c’è almeno una corrispondenza di base tra come si scrivono le parole e come la gente le pronuncia. Ma l’inglese non è normale. Lo spelling è una questione di scrittura, mentre la lingua riguarda fondamentalmente il parlato. La parola parlata è nata molto prima di quella scritta, parliamo molto più di quanto scriviamo e circa duecento lingue delle migliaia che ci sono nel mondo non si usano mai o quasi mai in forma scritta. Tuttavia, anche nella forma parlata, l’inglese è piuttosto strano. Strano in un modo che i madrelingua tendono a non notare, soprattutto perché gli anglofoni americani e britannici non muoiono propriamente dalla voglia d’imparare altre lingue. Ma la tendenza degli anglofoni al monolinguismo li mette nelle condizioni del proverbiale pesce che non sa di essere bagnato perché non ha idea di cosa significhi essere asciutto. Gli sembra che la loro lingua sia “normale” solo fino a quando non si rendono conto di cosa significa veramente normale. Un esempio: non esiste nessun’altra lingua abbastanza simile all’inglese da permettere a un anglofono di capire la metà di quello che viene detto senza averla prima studiata, e l’altra metà con un piccolo sforzo. Tra il tedesco e l’olandese c’è questo tipo di rapporto, come c’è tra lo spagnolo e il portoghese o tra il tailandese e il laotiano. Quella che si avvicina di più all’inglese è un’oscura lingua antica nordeuropea chiamata frisone. Per notarlo basta confrontare la parola del frisone tsiis con quella inglese cheese (formaggio); oppure la frase “brea, bûter, en griene tsiis is goed Ingelsk en goed Frysk” con “bread, butter and green cheese is good english and good frisian” (pane, burro e formaggio fresco si capisce sia in inglese sia in frisone). Ma naturalmente questa è una frase scelta di proposito, e nel complesso i madrelingua inglesi tendono a pensare che il frisone somigli più al tedesco, e infatti è proprio così. Agli anglofoni dà fastidio che molte lingue europee assegnino un genere ai nomi comuni senza motivo, per cui in francese la luna (lune) è femminile e la barca (bateau) è maschile. Ma in realtà sono loro a essere strani, perché quasi tutte le lingue europee appartengono alla stessa famiglia – l’indoeuropeo – e tutte, tranne l’inglese, hanno nomi maschili e femminili. Ecco altre stranezze. Esiste una sola lingua in tutto il pianeta in cui solo la terza persona singolare del presente di un verbo ha una desinenza. Il verbo to talk (parlare), si coniuga così: I talk, you talk, he/she talks. Perché? Il presente delle lingue normali non ha nessuna desinenza per le varie persone o le ha tutte diverse (in spagnolo si dice hablo, hablas, habla). E trovatemi un’altra lingua in cui serve un ausiliare (do) per fare una domanda o negare qualcosa. Fare la conta in celtico Perché l’inglese è una lingua così eccentrica? E perché si è sviluppata così? All’inizio era praticamente una specie di tedesco. L’inglese antico è così diverso dalla sua versione moderna che si fa fatica a credere che sia la stessa lingua. “Hwæt! We Gardena in geardagum / þeodcyninga, þrym gefrunon”: la prima frase dell’antico poema epico Beowulf nell’inglese di oggi equivale a “So, we Spear-Danes have heard of the tribe-kings’ glory in days of yore” (Allora noi danesi armati di lance abbiamo sentito parlare della gloria passata dei re delle tribù). Gli islandesi sono ancora in grado di leggere i poemi epici scritti mille anni fa nel norvegese antico che è l’antenato della loro lingua, mentre per gli anglofoni che non hanno studiato le lingue antiche il Beowulf potrebbe anche essere scritto in turco. La prima trasformazione avvenne quando gli angli, i sassoni e gli juti (ma anche i frisoni) invasero la Gran Bretagna portandosi dietro la loro lingua. L’isola era già abitata da persone che parlavano lingue molto diverse. Erano tutte di origine celtica, come il gallese, l’irlandese e il bretone di oggi. I celti furono sottomessi ma sopravvissero, e visto che gli invasori germanici erano solo 250mila, i primi a parlare l’inglese antico furono soprattutto i celti. È importante ricordare che le lingue celtiche erano molto diverse dall’inglese. Tanto per cominciare, il verbo andava all’inizio della frase. Ma avevano anche una strana costruzione che usava il verbo do per formare le domande e le frasi negative, e a volte come rafforzativo prima di qualsiasi verbo: “Do you walk? I do not walk. I do walk”. Questo modo di costruire le frasi oggi suona familiare agli anglofoni perché i celti cominciarono a usarlo nella loro versione dell’inglese. Ma prima di allora sarebbe sembrato bizzarro a chiunque, come lo sembrerebbe oggi in qualsiasi altra lingua tranne l’inglese e le lingue celtiche che sono sopravvissute. Per un anglofono il solo fatto di soffermarsi su questo strano uso del do è di per sé strano, come prendere coscienza del fatto che ha una lingua in bocca. Oggi nel mondo non esiste nessuna lingua documentata, oltre al celtico e all’inglese, che usi il do in questo modo. Quindi la stranezza dell’inglese è cominciata con la sua trasformazione nella bocca di persone che si sentivano più a loro agio con lingue molto diverse. Anche se non se ne rendono conto, quelli che parlano inglese si esprimono ancora come loro. Quando gli anglofoni fanno la conta dicendo “eeny, meeny, miny, moe” hanno la sensazione di contare anche se stanno pronunciando dei numeri senza senso. In realtà quelle sillabe sono numeri celtici, modificati nel tempo ma riconoscibili come quelli che i contadini usavano quando contavano gli animali o giocavano. Le cose cambiarono ancora quando arrivarono dal mare altri germanofoni. La seconda ondata di sbarchi cominciò nel nono secolo, e i nuovi invasori parlavano un’altra derivazione dal tedesco, il norvegese antico. Ma non imposero la loro lingua, preferirono sposare le donne del posto e adottare l’inglese. Però erano adulti e, di norma, gli adulti non imparano facilmente una nuova lingua, soprattutto nelle culture basate sull’oralità. Non esistevano le scuole né i mezzi di comunicazione. Le lingue s’imparavano ascoltando e cercando di ripetere. Possiamo solo immaginare che tipo di tedesco parlerebbe la maggior parte di noi se dovesse impararlo in questo modo, senza mai vederlo scritto, e avendo troppe cose da fare (come macellare animali, persone e così via) per preoccuparsi dell’accento. Per gli invasori l’importante era riuscire a comunicare. Ma si può comunicare anche parlando una lingua in modo molto approssimativo. Quindi gli scandinavi facevano più o meno quello che ci si sarebbe potuto aspettare: parlavano un cattivo inglese antico. E i loro figli ascoltavano sia quello sia il vero inglese antico. La vita andò avanti e ben presto il loro cattivo inglese diventò quello vero, e così siamo arrivati a oggi: gli scandinavi hanno reso più facile la lingua. Scandinavi pigri A questo punto dovrei fare una precisazione. In ambito linguistico è pericoloso dire che una lingua è “più facile” di un’altra, perché non esiste un metro oggettivo in base a cui classificarle. Ma anche se la divisione tra giorno e notte non è così netta, non possiamo fingere che non esistano differenze tra le dieci di mattina e le dieci di sera. E che certe lingue siano molto più complicate di altre. In questo senso, l’inglese è “più facile” di altre lingue germaniche, e questo grazie ai vichinghi. L’inglese antico aveva tutti i generi che ci aspetteremmo da una buona lingua europea. Ma gli scandinavi non si presero la briga di impararli, così nell’inglese di oggi non ci sono. Inoltre, i vichinghi impararono solo una minima parte di quello che un tempo era stato il sistema delle coniugazioni, di conseguenza nell’inglese è rimasta solo quella “s” della terza persona singolare, attaccata lì come un insetto morto sul parabrezza. Su questo e altri aspetti della lingua furono i vichinghi a eliminare le dificoltà. Seguirono anche l’esempio dei celti, usando la lingua nel modo che gli sembrava più naturale. Oggi sappiamo per certo che gli scandinavi introdussero migliaia di nuove parole, comprese alcune che gli anglofoni oggi considerano profondamente “loro”. Pensate a una canzone come Get happy: entrambe le parole del titolo sono norvegesi. A volte sembrava che gli scandinavi volessero riempire la lingua di cartelli del tipo “siamo qui anche noi”, aggiungendo alle parole esistenti il loro equivalente in norvegese e creando doppioni. Per questo oggi in inglese ci sono due parole per dire fossato: dike (portata dagli scandinavi) e ditch (usata nell’inglese antico). Ma le parole furono solo l’inizio. Gli invasori lasciarono il segno anche nella grammatica. Per fortuna ormai non si insegna quasi più che è sbagliato mettere la preposizione alla ine di una domanda – come in “which town do you come from?” (da quale città vieni?) – invece di metterla all’inizio. In inglese le frasi con la “preposizione appesa” suonano perfettamente naturali e non fanno male a una mosca. Ma presentano anche un problema: le altre lingue non usano le preposizioni in questo modo. In italiano “quale città vieni da?” è naturale come mettere i pantaloni alla rovescia. C’è qualche
lingua che lo consente: una parlata dagli indigeni in Messico, un’altra in Liberia. Ma finisce qui. In generale è una stranezza. Ma guarda caso era consentita anche nel norvegese antico (ed è rimasta nel danese moderno). Possiamo riassumere tutte queste bizzarre inlfuenze norvegesi in una frase: “The man you walk in with” (l’uomo con il quale entri). Innanzitutto perché tra the e man non c’è concordanza di genere, poi perché il verbo non ha desinenza e infine per la preposizione in fondo. Tutte queste caratteristiche le dobbiamo a quello che i vichinghi fecero al caro vecchio inglese che si parlava in quell’epoca. Come se non bastasse, l’inglese è disseminato di parole provenienti da tante altre lingue. Dopo i norvegesi arrivarono i francesi. I normanni – che si dà il caso discendessero dagli stessi vichinghi – conquistarono l’Inghilterra, e la governarono per diversi secoli: in poco tempo l’inglese acquisì diecimila nuove parole. Poi, a partire dal cinquecento, gli anglofoni istruiti decisero di scrivere in modo più raffinato, e quindi cominciò la moda di usare parole latine per dare un tono più elevato alla lingua. Grazie a questo influsso del francese e del latino, l’inglese acquisì parole come cruciied, fundamental, definition e conclusion. Oggi sembrano abbastanza inglesi, anche se quando furono introdotte, nel cinquecento, molti uomini di lettere le trovavano irritanti, pretenziose e invadenti (pensate a come i pedanti francesi di oggi storcono il naso davanti all’uso delle parole inglesi nella loro lingua). Ma le lingue tendono a non comportarsi come le persone vorrebbero. Ormai infatti il dado era tratto: l’inglese aveva migliaia di nuove parole che facevano concorrenza a quelle indigene per indicare le stesse cose. Un altro risultato di questa ulteriore aggiunta furono le triplette, che oggi consentono agli anglofoni di esprimere un concetto a vari livelli di formalità. Help (aiuto) è inglese, aid è francese, assist è latino. Kingly (regale) è inglese, royal è francese e regal è latino. Poi ci sono i doppioni, meno complicati delle triplette ma comunque divertenti, come le coppie inglese/francese begin e commence (cominciare) o want e desire (volere). Particolarmente degne di nota sono le trasformazioni culinarie: in inglese si macellano cows (mucche) e pigs (maiali),  ma si mangiano beef e pork. Perché? Perché in genere nell’Inghilterra normanna i lavoratori inglesi macellavano mentre i ricchi francesi mangiavano. I diversi modi di chiamare la carne dipendevano dalla posizione che si occupava nella scala sociale, e quelle distinzioni di classe sono arrivate discretamente fino a noi. Non è cosi semplice Ma attenzione: tradizionalmente si tende a esagerare il vero significato di questi diversi livelli di formalità importati. Alcuni ritengono che siano gli unici responsabili della ricchezza lessicale dell’inglese. È il caso di Robert McCrum, William Cran e Robert MacNeil, che nel 1986 hanno scritto The story of English. Secondo loro la prima ondata di parole latine permise a chi parlava l’inglese antico di esprimere concetti astratti. Ma nessuno ha mai quantificato la ricchezza o l’astrazione in questo senso (quale popolo sviluppato non ha concetti astratti o non ha la capacità di esprimerli?) e non esiste nessuna lingua documentata che abbia un’unica parola per ogni concetto. Le lingue, come l’intelletto umano, sono troppo piene di sfumature, perfino caotiche, per essere così elementari. Perfino quelle non scritte hanno un registro formale. Inoltre, un modo per esprimere formalità è usare espressioni sostitutive: l’inglese usa la parola life (vita) come concetto generale, ma ha anche existence come forma più elegante, mentre nella lingua zuni dei nativi americani il modo più elevato per dire vita è “respiro”. Perfino in inglese, le radici originarie sono più influenti di quanto si voglia ammettere. Non sappiamo molto della ricchezza lessicale dell’inglese antico perché i testi scritti che ci sono arrivati sono molto pochi. È facile dire che comprehend (capire), preso in prestito dal francese, ha fornito un modo più formale per dire understand, ma bisogna considerare che anche in inglese antico per questo concetto c’erano diverse parole che, rese in inglese moderno, equivarrebbero a “forstand”, “underget” e “undergrasp” o qualcosa di simile. Sembra che tutte volessero dire “capire”, ma di sicuro avevano connotazioni diverse, ed è probabile che le distinzioni si basassero su diversi gradi di formalità. Nonostante questo, è vero che l’invasione delle lingue latine ha conferito alcune peculiarità all’inglese. Per esempio, da quel momento è nata l’idea che i paroloni fossero più sofisticati. Nella maggior parte delle lingue del mondo non si ha la sensazione che le parole più lunghe siano più nobili o più specifiche. In swahili “tumtazame mbwa atakavyofany” significa semplicemente “vediamo che farà il cane”. Se i concetti formali richiedessero parole più lunghe, le persone che parlano swahili dovrebbero fare sforzi sovrumani per controllare il iato. L’idea che i paroloni siano più eleganti è dovuta al fatto che le parole francesi, e soprattutto quelle latine, tendono a essere più lunghe di quelle dell’inglese antico, come nel caso di end e conclusion (ine) o walk e ambulate (camminare). L’introduzione di tanti vocaboli stranieri spiega, almeno in parte, il fatto che in inglese le parole che si usano nella stessa frase possono avere tante origini diverse. L’idea stessa di etimologia rimanda a una serie di lingue, ogni parola ha una sua affascinante storia di migrazioni e scambi. Ma le radici di altre lingue sono più banali. Quasi sempre una parola deriva semplicemente dalla sua versione precedente. Gli arabofoni, per esempio, non trovano molto interessante lo studio dell’etimologia. A essere onesti, i lessici ibridi sono piuttosto comuni nel mondo, ma nell’inglese questa tendenza è maggiore che nella maggior parte delle lingue europee. Una frase può essere formata da parole che derivano dall’inglese antico, dal norvegese antico, dal francese e dal latino. E poi c’è anche il greco. Secondo una moda che raggiunse il culmine nell’ottocento, tutto quello che era scientifico doveva avere un nome greco. Inine, sempre a causa delle contaminazioni, gli anglofoni devono combattere anche con due modi diversi di accentare le parole. Se aggiungiamo un suffisso alla parola wonder (meraviglia) otteniamo wonderful (meraviglioso). Ma se lo aggiungiamo alla parola modern, che è sempre accentata sulla prima sillaba, l’accento si sposta sulla seconda e diventa modernity. Lo stesso discorso vale per personal e personality. Questo non succede con le parole di origine inglese antica: l’avverbio derivato da greedy è greedily. La differenza sta nel fatto che -ful e -ly sono suffissi germanici, mentre -ity è arrivato con il francese. I suffissi francesi e latini tendono ad attirare l’accento – come nell’italiano tempesta, tempestoso – mentre quelli germanici lo lasciano dov’è. Chi parla inglese non nota queste cose, che però sono uno dei motivi per cui una lingua “semplice” in realtà non lo è mai. La storia dell’inglese, da quando sbarcò sulle sponde delle Isole Britanniche 1.600 anni fa a oggi, è quella di una lingua che è diventata sempre più deliziosamente strana. In tutto questo tempo le sono successe molte più cose che alla maggior parte delle lingue della terra. Quelli che seguono sono i primi due versi in norvegese di una poesia del nono secolo intitolata The lay of Thrym (Il canto di Thrym). Significano “quando si svegliò / Ving-Thor era arrabbiato”: Vreiðr vas Ving-Þórr / es vaknaði In islandese moderno, gli stessi due versi suonano così: Reiður var þá Vingþórr / er hann vaknaði Non serve conoscere l’islandese per capire che la lingua non è cambiata molto. “Arrabbiato” un tempo era vreiðre ; la parola reiður è rimasta la stessa, ha solo perso la “v” iniziale e l’ultima sillaba è scritta in modo leggermente diverso. Ma in inglese antico la frase “quando si svegliò / Ving-Thor era arrabbiato”, sarebbe stata “wraþmod wæs Ving-Þórr/he áwæcnede”. È evidente che l’inglese di Beowulf ha fatto più strada di quanta ne abbiano fatta gli islandesi da Ving-Thor. Quindi l’inglese è veramente una lingua bizzarra, e il modo in cui si scrive è solo l’inizio. Nel libro Globish, Robert McCrum sostiene che l’inglese aveva un “vigore” unico, era “troppo solido per essere cancellato del tutto” dalla conquista normanna. Mc- Crum elogia l’inglese per la sua “flessibilità” e “adattabilità” dovuta al lessico ibrido. In realtà sta solo seguendo una lunga tradizione di vanterie, che somiglia alla convinzione dei russi che la loro lingua sia “grande e potente”, come la definì il romanziere dell’ottocento Ivan Turgenev, o quella dei francesi di avere una lingua di una “chiarezza” unica. Ma è difficile stabilire quali lingue non sono “potenti”, soprattutto considerato che quelle meno note e parlate da pochissime persone sono di solito molto complesse. La convinzione difusa che l’inglese sia la lingua che predomina nel mondo perché è “flessibile” implica che esistono altri idiomi rimasti uguali a quelli che parlavano le loro tribù d’origine perché erano misteriosamente rigidi. Ma io non ne conosco nessuno. Quello che l’inglese ha di diverso dalle altre lingue è che è peculiare in senso strutturale. E lo è diventato a causa delle frecce e dei dardi – ma anche dei capricci – dell’oltraggiosa storia.

L’AUTORE John McWhorter insegna linguistica e studi americani alla Columbia university. Il suo ultimo libro è The language hoax (2014).