Il Sole 8.10.16
I russi in Siria «a tempo indefinito»
Il Parlamento di Mosca ha votato all’unanimità la ratifica dell’accordo stretto con Assaddi Alberto Negri
Questa
guerra non è fredda - in Siria si contano migliaia di morti - ma non è
neppure frontale, è una sorta di conflitto ibrido dove gli attori locali
condizionano anche le mosse delle grandi potenze, Usa e Russia, che
stanno posizionando forze e schieramenti. Mosca lo fa affermando con
decisione quello che già sapevamo: non se ne andrà mai, se possibile,
dalla Siria. La Duma ha ratificato ieri (446 voti favorevoli su 446
presenti) il trattato firmato con Assad per la permanenza a tempo
indeterminato dei russi nella base di Hmeimim (Latakia), che si aggiunge
a quella navale di Tartous e ai sistemi antiaerei e anti-missile S-400 e
S-300. I russi, entrati in campo il 30 settembre 2015, sono schierati
nel cuore della Siria, una sorta di ex Jugoslavia araba che però secondo
Putin non farà la fine della Serbia di Slobodan Milosevic. Con questa
mossa la Russia non solo tiene sotto pressione gli avversari ma
garantisce il regime, cioè le gerarchie militari nel caso di una
transizione, e anche l’Iran, alleato storico degli alauiti siriani.
Teheran a sua volta conta sulla Siria e gli Hezbollah libanesi per
rafforzare la sua profondità strategica in Medio Oriente che passa anche
dallo stretto legame con il governo sciita di Baghdad. L’intesa
russo-iraniana è evidente ma gli interessi tattici potrebbero non
coincidere in futuro con quelli strategici: la Russia è potenza a tutto
campo che vuole avere buoni rapporti con il mondo musulmano sunnita e
non limitarsi a quello sciita.
Questa guerra è ibrida non solo
perché è stata rotta ogni barriera tra militari e civili - ostaggio dei
miliziani e bersaglio dei bombardamenti - è ibrida perché vengono
utilizzate tutte le tecniche possibili, terrorismo compreso, e anche per
il groviglio di interessi e alleanze. Sul fronte opposto a quello
russo-siriano-iraniano, ci sono gli Stati Uniti coinvolti in due
conflitti vicini ma assai diversi. In Iraq gli americani vorrebbero
sferrare l’offensiva per riprendere Mosul dal Califfato ma devono
contare sull’esercito di Baghdad, notoriamente alleato di Teheran. E il
governo di Baghdad, già in contrasto con il Kurdistan di Massud Barzani,
è in piena tensione con Ankara che mantiene truppe sul territorio
iracheno. Mai gli Stati Uniti occupando l’Iraq nel 2003 immaginavano di
potersi trovare dopo 13 anni in un groviglio così inestricabile. Sul
fronte siriano Washington deve manovrare con la Turchia, un tempo
pilastro della Nato, che detesta i curdi di Kobane appoggiati dagli
Stati Uniti, ma anche con Israele che occupa le alture siriane del Golan
e allo stesso tempo intrattiene ottimi rapporti con Mosca. Ecco perché
l’incontro tra Putin ed Erdogan ad Ankara il 10 ottobre assume una
importanza: se tra i due dovesse scaturire un’intesa può cambiare anche
tutta la partita siriana.
In questo clima bellico ma anche di
manovre diplomatiche e scambi di accuse reciproche, Mosca ha richiesto
la convocazione del Consiglio di sicurezza dopo l’allarme lanciato
dall’inviato Onu Staffan de Mistura secondo il quale Aleppo Est potrebbe
essere totalmente distrutta dai bombardamenti russi. La proposta di de
Mistura, sostenuta da Mosca, per il ritiro dei miliziani di al-Nusra in
cambio della fine dei raid è stata respinta: i jihadisti, affiliati di
al-Qaida, e riuniti nel nuovo Fronte Fatah al-Sham hanno dichiarato di
essere determinati a spezzare l’assedio. La Francia vorrebbe mettere ai
voti una risoluzione per una “no fly zone” mentre il segretario di Stato
Usa John Kerry ha accusato la Russia e Assad di avere bombardato gli
ospedali della Siria per “terrorizzare” i civili e ha richiesto
un’indagine per “crimini di guerra”.