Il Sole 27.10.16
Calais, la Giungla non c’è più ma restano i problemi
Resistenza allo sgombero
di Marco Moussanet
PARIGI
- La “giungla” di Calais non c’è più. O almeno questa è la
comunicazione ufficiale, perché nella realtà le cose sono un po’ più
complicate.
Alle 13 e 30 di ieri - in largo anticipo rispetto ai
programmi, secondo i quali lo sgombero sarebbe durato tutta la settimana
– il prefetto di Arras che si è occupato di organizzare e gestire
l’intera operazione, Fabienne Buccio, ha annunciato, in un’improvvisata
conferenza stampa ai margini di quella che era la più grande e ignobile
bidonville d’Europa, «la fine della giungla». Aggiungendo che il centro
di smistamento allestito in un grande hangar a 300 metri dal campo –
dove i migranti hanno dovuto registrarsi prima di salire sugli autobus e
avviarsi verso i 450 centri di accoglienza e orientamento (Cao)
disseminati nel Paese – «chiuderà in serata, quando non ci sarà più
nessuno in attesa e tutti saranno stati trasferiti».
La “grande
evacuazione” è quindi terminata. Apparentemente con successo, visto che
quasi 6mila immigrati adulti hanno abbandonato il freddo, la sporcizia e
le violenze della “giungla” e sono stati «messi al riparo» nei Cao. Ai
quali si aggiungono circa mille minorenni, o presunti tali, ospitati nei
container a un passo dalla baraccopoli in attesa che venga verificata
la possibilità per loro di raggiungere un parente in Gran Bretagna. Come
dovrebbe avvenire per la grande maggioranza e com’è previsto dagli
accordi tra Parigi e Londra. Mentre il personale della Protezione civile
ha iniziato a demolire tende e baracche. E le ruspe stanno pian piano
ripulendo l’intera area.
Ma la realtà è, appunto, più articolata.
Verso le quattro di ieri pomeriggio – dopo aver interamente sgombrato la
“giungla” per consentire ai vigili del fuoco di spegnere i numerosi
incendi appiccati dai migranti che prima di andarsene hanno dato fuoco
ai loro rifugi – la polizia ha abbandonato i varchi di ingresso
all’accampamento. E centinaia di migranti sono rientrati. Alcuni per
recuperare le loro cose e mettersi in coda al Centro di smistamento.
Altri, gli irriducibili, perché non hanno alcuna intenzione di rimanere
in Francia e abbandonare l’obiettivo di andare in Gran Bretagna.
È
possibile che questi ultimi – tra cui molti afghani, all’origine di
parte degli incendi che per alcune ore hanno dato alla “giungla”
l’immagine di una zona di guerra, con un denso fumo nero e i botti
provocati dall’esplosione di bombole di gas – decidano di rimanere nel
campo e ingaggiare lo scontro con la polizia. Più probabilmente, come
alcuni di loro hanno peraltro detto chiaramente, se ne andranno solo per
spostarsi di qualche chilometro e tornare appena possibile. Per
riprendere i tentativi di salire su un camion o su un ferry diretti
oltre Manica.
Nei prossimi giorni spetterà quindi alla polizia,
che ha predisposto apposite pattuglie “anti-squat”, perlustrare i
dintorni della “ex giungla” per verificare che non vengano costituiti
altri campi, certo molto più piccoli, e intercettare i migranti. Che a
quel punto – terminata l’operazione umanitaria e lontano dalle
telecamere – verranno fermati in vista di una possibile espulsione.
Compito
sicuramente non facile, visto che da oltre vent’anni questo pezzo di
litorale francese è preso d’assalto dagli immigrati, con accampamenti
che vengono continuamente creati e smantellati. E nulla consente di
prevedere che questo non accadrà più. Tutt’altro.