il manifesto 8.10.16
Socialdemocratici a rischio nella Repubblica ceca
Elezioni regionali. Il partito del premier in carica Bohuslav Sobotka sconta l'azione mediocre del governo
di Jakub Hornacek
PRAGA
 Dopo il fallito referendum ungherese, un altro Paese del centro-est 
Europa va al voto in queste ore. Venerdì 7 e sabato 8 ottobre si tengono
 in Repubblica Ceca le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali e 
di un terzo del Senato.
Il voto arriva a solo un anno prima delle 
elezioni alla Camera dei Deputati. In palio ci sono 13 consigli 
regionali e 27 collegi senatoriali. Il partito, che ha più mandati da 
perdere, sono i socialdemocratici. Il partito socialdemocratico ha 
undici presidenti di regione e nelle restanti due regioni è nella 
coalizione di governo. Un risultato difficile da replicare dopo tre anni
 di governo nazionale per molti tratti mediocre e poco appassionante. Lo
 stesso premier appare come un figura alla continua ricerca di 
compromesso tra gli esponenti del suo partito e i partiti alleati. Il 
suo governo ha perciò preso parte a fronte di Visegrad compattatosi 
intorno al problema delle quote rifiutando la distribuzione per quote. 
Allo stesso tempo Sobotka ha però rifiutato di seguire il premier 
slovacco Fico e quello ungherese Orban nel ricorso presso la Corte 
europea contro il meccanismo messo a punto dalla Commissione. Ciò gli ha
 valso molte critiche dalla destra populista e da certi ambienti 
conservatori del suo stesso partito.
Sebbene Sobotka non si sia 
particolarmente speso nella campagna elettorale, l’insuccesso elettorale
 potrebbe costargli la leadership interna nel partito. I 
socialdemocratici governano praticamente tutte le regioni ceche da ormai
 otto anni. In questo periodo le regioni sono diventate uno snodo vitale
 per le clientele del partito in termini di mandati, posti nei cda delle
 aziende controllate e soprattutto distribuzione dei fondi europei. Una 
forte perdita di peso in questi organismi potrebbe aizzare l’opposizione
 interna e penalizzare Sobotka in vista del congresso prima delle 
elezioni parlamentari.
Il principale concorrente dei 
socialdemocratici è sicuramente il movimento del miliardario e 
vicepremier per le finanze Andrej Babis Ano 2011. Andrej Babis vede le 
regionali come l’anteprima delle elezioni parlamentari, in cui vuole 
scavalcare i suoi alleati socialdemocratici primo e diventare il 
premier. In queste elezioni Babis ha puntato su narrazioni populiste do 
ogni tipo, dalla vecchia e buona antipolitica fino alla contrarietà 
all’accoglienza dei rifugiati. Babis si è perfino spinto a dire che i 
campi di concentramento per i Rom usati come posto di transito per i 
campi di sterminio erano dei «semplici campi di lavoro», dove veniva 
messa gente, che non aveva voglia di lavorare. «Il principale problema 
di Ano è che parla a lelettori troppo diversi In alcune regioni si 
presenta come un tradizionale partito di centro-destra e della classe 
media. In altre regioni più povere si trasforma in un partito populista,
 che si rivolge a elettori frustati dalla loro condizione sociale. Sarà 
difficile tenere tutto quanto assieme», dice il sociologo Daniel Prokop.
Sebbene
 il tema dei rifugiati sia un argomento cardine anche nelle elezioni 
regionali ceche, le chance dei partiti xenofobi e islamofobi risultano 
alquanto ridotte. Lo spettro politico dei partiti xenofobi e antieuropei
 è infatti frammentato e in alcune regioni ci sono perfino sei, sette 
liste con programmi quasi uguali e lo stesso peso politico. Unica 
speranza per questi partiti sono le elezioni senatoriali a collegio 
unico. In questo tipo di elezioni l’afflusso degli elettori è ridotta e 
al secondo turno non vota solitamente più del 25% dell’elettorato. Per 
questo motivo si sono schierati ai nastri di partenza tutti i big di 
questa area politica, ma solo un paio di essi ha una qualche possibilità
 di venir eletto. In parte le basse preferenze di questi partiti sono 
spiegabili dal fatto che un’attitudine negativa nei confronti dei 
rifugiati e del sistema di quote è stato mostrato da praticamente tutti i
 partiti parlamentari. Ormai questa posizione politica è diventata un 
must per non perdere elettori ma non è sufficiente per guadagnarne di 
nuovi. Con queste elezioni non emergeranno probabilmente nuovi partiti 
di protesta ma verranno consacrati i populismi già al governo con giacca
 e cravatta.
 
