il manifesto 29.10.16
Antigone, la storia italiana dietro le sbarre
Cultura politica. 25 anni di critica dell'emergenza. campagne, documentazioni, fino all'associazione e ai suoi interventi
di Mauro Palma
Antigone
si specchia in un fumetto che ripercorre la sua storia: la ripercorre
però, come è ovvio, senza i confronti appassionati e forse verbosi che
caratterizzarono le discussioni da cui nacque; senza il fumo delle
sigarette non ancora bandite nelle riunioni, senza la lucidità e i dubbi
che si alternavano nel misurarsi in quel mutamento del paradigma della
giustizia che dava corpo al suo nascere.
Un paradigma diverso,
caratterizzato da norme d’eccezione che rispondevano a una situazione
anch’essa d’eccezione: il passaggio di parte di movimenti antagonisti
cresciuti negli anni precedenti, a forme di lotta armata nell’ipotesi di
innescare un conflitto in grado di estendersi e interpretare bisogni
diffusi.
La risposta d’eccezione – si conierà allora l’espressione
«legislazione d’emergenza» – era quella di rendere l’esercizio della
giustizia penale strumento di lotta per arginare tale fenomeno, piegando
il sistema da informativo a offensivo e il processo da luogo
dell’accertamento a luogo dell’espressione della vittoria dello stato.
Frammenti di ciò che, in altri e più duri contesti, sarà chiamato
«diritto penale del nemico» già si intravedevano allora: Antigone
riusciva a identificarne i germi.
LA DISSOCIAZIONE
Era nata
come rivista, nell’alveo del manifesto, cementata proprio dalla capacità
del giornale di proporsi come luogo ove interrogarsi su sviluppi e
derive della sinistra e costruire cultura politica. Era inizialmente un
suo supplemento, ben presto si rese autonoma e rimase in edicola
bimestralmente per circa tre anni, finché la tensione che ne aveva
determinato la ragione d’essere non scemò, per la sconfitta definitiva
delle ipotesi che avevano armato la mano di una parte del movimento del
decennio precedente.
L’obiettivo era duplice: da un lato
comprendere se e cosa stesse mutando, dall’altro offrire una via di
uscita possibile a quanti – ed erano molti – erano finiti per scelta,
suggestione o semplicemente per l’estensione abnorme dell’indagine,
nella rete dei fatti, delle inchieste e delle conseguenti detenzioni e
che desideravano uscirne ritenendo ormai determinata la sconfitta di un
conflitto in parte agito e in parte immaginato.
UNA TERZA VIA
Per
questo Antigone lavorò culturalmente e politicamente attorno
all’ipotesi di una «dissociazione dalla lotta armata», che non
implicasse necessariamente la cooperazione attiva con l’inquirente: una
terza via tra «irriducibilismo» e «collaborazione» che offrisse un
possibile ritorno a quanti volevano chiudere con quel periodo, pur non
essendo disposti ad assumere un ruolo di sostegno attivo alle indagini
verso i propri ex compagni. Il suo sottotitolo fu appunto Bimestrale di
critica dell’emergenza.
La sua premessa era stato un Centro di
documentazione della legislazione dell’emergenza, costituito da alcuni
esponenti della sinistra con diverse esperienze e professioni:
protagonisti della criminologia critica, giornalisti attenti, operatori
del diritto, parlamentari, giovani desiderosi di comprendere. Oggi
ripercorrere quei nomi sembra quasi mettere in ordine una galleria di
figurine di persone che negli anni successivi avranno ruoli anche
importanti nel dibattito all’interno della sinistra italiana; allora
erano acuti osservatori tenuti insieme dalla volontà di comprendere e di
non essere spettatori muti di un conflitto che da un lato distruggeva
le ipotesi di movimento e partecipazione che avevano caratterizzato gli
anni precedenti, dall’altro introduceva forme e prassi destinate a
mutare la fisionomia successiva dello spazio di agibilità politica.
Il
Centro documentò così processi, quale quello piuttosto fantapolitico
del «7 aprile», in cui era risuonata l’accusa inedita di insurrezione ai
danni dello stato, e che negli anni si sarebbe svelato sempre più come
manifesto assertivo di un’ipotesi piuttosto che come indagine sostenuta
da elementi concreti: molte incriminazioni poi cadute, molte
assoluzioni, non senza però aver fatto scontare anni di custodia
cautelare alle persone coinvolte. Se questa era stata la premessa di
Antigone, l’esito è stato quello di ampliare l’analisi al sistema
dell’esecuzione penale e della detenzione nel suo complesso. In parte
perché molto di ciò che era allora eccezione ben presto diventò
normalità e alcuni mutamenti vennero introiettati dal sistema stesso. In
parte perché l’area dell’intervento penale andava espandendosi, sulla
spinta di norme che regolavano comportamenti soggettivi, quali quelle
sulle droghe dei primi anni Novanta, e di crescenti debolezze sociali
che aprivano a nuove forme di microcriminalità con parallela crescita
della percezione d’insicurezza.
Cresceva così il ricorso al
carcere, mutava la sua funzione, piegandosi a strumento di controllo
territoriale diffuso, quasi adempiendo così alle previsioni
foucoultiane. Antigone si strutturò allora come associazione per
comprendere la privazione della libertà quale nuovo paradigma diffuso e
intervenire in esso. Perché quell’estendersi non aggredisse il fulcro
residuale dei diritti di cui ogni individuo è titolare, qualunque sia il
suo stato di libero o recluso.
Questa è l’associazione di oggi,
nota e stimata, ma pur sempre accorta e mai ferma a guardarsi con
compiacimento perché sempre desiderosa di capire e intervenire: di
esercitare un ruolo politico a partire da una profonda competenza
tematica.
Questa è l’associazione che per un attimo si guarda allo specchio, nei disegni di un fumetto.