il manifesto 28.10.16
Sel chiude i battenti ma c’è malumore sull’ultimo atto
Sinistra. Un’assemblea, poi la consultazione degli ex iscritti nei giorni ’caldi’ del referendum
di Daniela Preziosi
ROMA
Sel chiude i battenti. Entro fine anno la creatura politica nata nel
2009 da una scissione del Prc guidata da Nichi Vendola si scioglierà
ufficialmente per confluire in Sinistra italiana. La morte del
partito-movimento è annunciata, ma alle esequie la famiglia potrebbe
presentarsi meno unita di quanto ci si augura in un’occasione del
genere. Se n’è discusso in due tappe ieri e l’altro ieri a Montecitorio.
L’appuntamento era riservato ai deputati e ai senatori della vecchia
Sel, ed è stato concluso da Nichi Vendola, tutt’ora presidente del
partito morituro benché da tempo assente dalla scena per note ragioni
familiari (ha avuto un bambino e si è preso un periodo sabbatico dalla
militanza).
Oggetto del confronto, che a sinistra finisce sempre
per essere un eufemismo, è il modo con cui sarà sciolta Sel, «superata» o
«liquidata» a seconda di chi parla. La liturgia dovrebbe essere breve,
c’è chi sostiene anche troppo sbrigativa: una riunione di presidenza il 4
novembre, poi un’assemblea nazionale il 6 con la proposta da parte di
Vendola di un documento di scioglimento che a stretto giro sarà
sottoposto alla consultazione degli ex iscritti nelle assemblee
provinciali.
Ma la road map ha raccolto dissensi prima in
segreteria e poi anche fra i parlamentari. È pacifico lo scioglimento di
un partito di fatto già inesistente (un po’ ovunque, ma non
dappertutto, i militanti sono passati sotto le nuove insegne di Sinistra
italiana). Non è pacifica invece la modalità del travaso o della
«trasformazione» in Sinistra italiana, dove l’eredità di Sel – quella
ideale ma anche quella materiale – dovrebbe riversarsi, in teoria, in un
contenitore più ampio. Ma c’è chi si preoccupa delle defezioni di peso:
dall’ex sindaco Pisapia a quasi tutto il partito sardo, Massimo Zedda
in testa, fino alla presidente della camera Laura Boldrini, fredda forse
non solo per motivi istituzionali. Uomini e donne della nouvelle vague
vendoliana, quella dei tempi del movimento arancione e della coalizione
Italia bene comune. Chi resta, chi va e perché: temi delicati da
affrontare – altra critica avanzata – nel pieno della «battaglia della
vita» e cioè la campagna referendaria il cui esito cambierà comunque
tutto il quadro politico italiano. Differenze, «articolazioni», le
chiama Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel e front man di Si,
rimandando tutto all’assemblea, e poi al congresso fondazione del nuovo
soggetto, a febbraio.
Perché il vero busillis resta questo: se il
nuovo partito debba essere uno dei soggetti della sinistra, magari per
stringere poi un cartello elettorale con i compagni di questa strada
(Prc, Possibile, Altra europa con Tsipras); o se debba invece tentare il
«big bang», vecchio cavallo di battaglia vendoliano, con i militanti e
gli elettori in fuga dal renzismo ma fin qui non attratti dalla nuova
bandiera. Le due ipotesi vengono vissute in alternativa; non è detto che
lo siano. Molto dipenderà dall’esito referendario e da quello che
succede nell’adiacente campo del Pd.
Dove intanto qualcosa
stavolta pare si muova davvero. Massimo D’Alema ormai parla
esplicitamente di «nuovo soggetto di sinistra» e sarà ospite del
battesimo a Roma dell’associazione Alternative, che nascerà il secondo
week end di novembre dall’interno di Sel per «uscire fuori dal recinto».
Il governatore Enrico Rossi, che vota sì «turandosi il naso», cerca
sponde a sinistra oltre la Toscana, e infatti oggi a Roma presenterà il
suo libro Rivoluzione socialista con Massimiliano Smeriglio (Sel-Si). E
poi c’è Pisapia che tenta di «ricostruire un centro-sinistra, o magari
una sinistra-centro». Con la benedizione del Pd, renziano e non, per una
nuova formazione di sinistra ’alleabile’.