il manifesto 20.10.16
Violenze al G8 di Genova, lo Stato condannato a maxi risarcimento
La
sentenza. Giudice riconosce un alto indenizzo per un attivista tedesca.
Furono «condotte di vera tortura», ma il reato ancora non c’è
di Patrizio Gonnella, Andrea Oleandri
Dopo
15 anni arriva una condanna per le violenze perpetrate alla scuola Diaz
e alla caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. Si tratta
di quella con cui una giudice del tribunale civile di Genova ha
condannato lo Stato Italiano a risarcire una ragazza tedesca con 175
mila euro per danni morali e fisici dovuti alla privazione dei diritti,
alle lesioni patite, alle umiliazioni che dovette sopportare e alle
gravi violenze alle quali ha assistito.
Nel dettaglio la giudice
Paola Bozzo Costa ha riconosciuto 40 mila euro per i reati, 80 mila euro
per i due terribili giorni trascorsi nella caserma di Bolzaneto e
55mila per il danno subito. Tra le poche cause civili arrivate a
sentenza per quella «macelleria messicana», questa finora è la più
ingente in quanto ad entità del risarcimento. Risarcimento che tuttavia
non fa giustizia per le «condotte di vera e propria tortura» attuate con
«la volontà di cagionare dolore nell’abusare delle rispettive posizioni
di potere e autorità» che Tanja W., ventiduenne all’epoca, ha subito.
Da
trent’anni chi, come l’associazione Antigone, si occupa di tortura, va
dicendo che questo reato è l’unico direttamente previsto dalla nostra
Costituzione laddove, all’articolo 13, è scritto che «è punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni
di libertà».
A dirlo oggi è anche questa giudice quando parla di
«lesione di diritti della persona a protezione costituzionale che non
sono oggetto di tutela della norma penale sanzionatrice in questione».
In poche parole si può procedere con il risarcimento per quelle torture,
ma nessuno dei responsabili potrà essere punito.
Dunque ancora
una volta un giudice in un tribunale italiano parla di tortura
sentenziando, al tempo stesso, come in Italia non si possa fare
giustizia nei casi in cui questo crimine contro l’umanità si manifesti. A
farlo fu già il giudice chiamato a pronunciarsi sulle violenze
perpetrate contro due detenuti nel carcere di Asti. Portati in
isolamento furono denudati, gli venne razionato il cibo, impedito di
dormire e furono sottoposti a percosse quotidiane. Fatti che, pur
qualificandosi come tortura ai sensi della Convenzione delle Nazioni
Unite, non potevano essere perseguiti come tali, scriveva il giudice
nella sentenza, poiché in Italia non esiste una legge che riconosca
questo reato.
Ora il caso di Asti è dinanzi alla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, anche grazie al sostegno di Antigone nella stesura
del ricorso, e a breve è attesa la sentenza dei giudici di Strasburgo.
Sentenza che il Governo ha provato a evitare patteggiando 45mila euro a
ognuno dei torturati. Offerta rispedita al mittente dalla Corte. Così
come era stata rispedita al mittente, in questo caso dagli stessi
trentuno ricorrenti, un’analoga offerta per archiviare il ricorso
pendente proprio sulle torture a Bolzanento.
Offerte con le quali
si è provato a rimediare a un ritardo quasi criminale, quello che il
nostro Parlamento ha accumulato per l’introduzione del reato di tortura
nel codice penale. È dal 1988, da quando lo stesso Parlamento ratificò
la Convenzione delle Nazioni Unite, che l’Italia aspetta questa norma.
Una lacuna che nell’aprile del 2015 ci ha fatto notare la stessa Corte
Edu nella sentenza con la quale il nostro Paese venne condannato per le
torture alla scuola Diaz.
All’indomani di quella pronuncia il
presidente del Consiglio Renzi, attraverso un tweet, prese l’impegno di
far approvare questa legge. Un impegno che il Senato, nel mese di
luglio, ha affossato. L’Italia è ancora il paradiso dei torturatori. Per
questo motivo giovedì scorso Antigone ha organizzato una manifestazione
davanti a Montecitorio cui hanno partecipato numerose organizzazioni
per i diritti umani e studentesche, il sindcato con la Fp-Cgil, gli
avvocati delle Camere Penali e i giudici di Magistratura Democratica. In
quella piazza abbiamo chiesto proprio a Matteo Renzi e al ministro
della Giustizia Andrea Orlando di impegnarsi in prima persona. Dopo 28
anni non si può ancora aspettare.