il manifesto 1.10.16
Obama, l’elogio di Peres è la condanna di Netanyahu
Israele.
Il presidente americano non ha mancato l'occasione dei funerali dell'ex
presidente morto tre giorni fa per lanciare un nuovo attacco alla
politica del premier Netanyahu
L'affondo finale prima di lasciare la Casa Bianca però non è certo
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
E’ andata come previsto. Barack Obama ieri non ha mancato di usare
l’elogio funebre di Shimon Peres, al cimitero del Monte Herzl di
Gerusalemme, davanti ai leader di una ottantina di Paesi (non c’era
Putin, perchè?), per indirizzare una condanna indiretta della politica
nazionalista e oltranzista del premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Quando il presidente americano ha preso la parola, dopo gli interventi
del capo dello stato Rivlin, dello scrittore Amos Oz, di Bill Clinton,
dei familiari di Peres e di Netanyahu, mentre ancora riecheggiavano le
note del brano “Avinu Malkeinu” cantato da David D’or, il premier
israeliano ha ostentato tranquillità. Sapeva però che Obama si sarebbe
tolto qualche altro sassolino dalla scarpa dopo otto anni rapporti
personali a dir poco difficili. «Il popolo ebraico non è nato per
governare un altro popolo», ha proclamato Obama in evidente riferimento
all’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi. «Non
credo che Peres fosse un ingenuo – ha aggiunto – Israele ha vinto tutte
le guerre ma non quella maggiore: quella di non aver più bisogno di
vincere».
Obama, tracciando la figura di Peres, di fatto ha voluto
rimarcare la differenza che tra l’idea dei palestinesi che aveva l’ex
presidente israeliano morto tre giorni fa e quella di Netanyahu. Peres,
ha spiegato, «insisteva nel vedere tutti gli esseri umani come aventi
diritto alla medesima dignità, inclusi i palestinesi i quali, secondo
lui, hanno diritto all’eguaglianza e alla sovranità». Poi ha
ammorbidito, ma solo un po’, l’attacco esaltando l’impegno di Peres per
la sicurezza e la difesa di Israele. «Per il suo senso di giustizia – ha
proseguito Obama – e per la sua analisi delle condizioni di sicurezza
di Israele, Peres comprese che per la difesa di Israele i palestinesi
devono avere un proprio Stato». Con la morte di Shimon Peres, ha
concluso Obama, «per Israele si chiude un periodo storico e il suo
futuro è ora affidato nelle mani della nuova generazione». Poi si è
avvicinato al feretro, ha appoggiato la mano e ha pronunciato in ebraico
«Todà rabbà, haver yakar (Grazie tanto, caro amico)», echeggiato la
frase di addio che l’allora presidente Usa Bill Clinton rivolse a
Yitzhak Rabin assassinato nel 1995 da un nazionalista religioso ebreo.
Tornando al suo posto il presidente americano si è limitato ad un saluto
gelido del premier israeliano e di sua moglie Sara.
Netanyahu che
poco prima aveva scambiato, dopo anni, una stretta di mano con il
presidente dell’Anp, Abu Mazen, unico leader arabo presente ai funerali
di Peres – non c’erano neanche i rappresentanti dei palestinesi
d’Israele -, ha provato ad anticipare e ad ammortizzare l’urto delle
parole che dopo qualche minuto avrebbe pronunciato Obama, accreditando
una sua recente e profonda amicizia con il presidente scomparso dopo
anni di scontri e di far apparire Peres più un garante della sicurezza
di Israele che un negoziatore e un uomo di pace. «Lo splendido Shimon
Peres – ha affermato – ha fatto cose incredibili per garantire il nostro
potenziale di difesa ma in parallelo ha fatto tutto quanto gli era
possibile per raggiungere la pace con i nostri vicini». Non ha negato le
differenze politiche con Peres ma, ha detto, «nel corso degli anni
siamo diventati amici. Shimon, ti ho amato».
Il risveglio tardivo
di un Obama determinato, in apparenza, a regolare qualche conto aperto
con Netanyahu, è il segnale di quel “colpo di coda” del presidente
americano che tanto temono, almeno a dar credito al quotidiano Haaretz,
nell’ufficio del primo ministro israeliano? È difficile dirlo.
L’inquilino della Casa Bianca ormai è agli sgoccioli del suo mandato e
difficilmente, per ragioni istituzionali, vorrà o potrà vendicare sino
in fondo lo sgarbo che gli fece Netanyahu a marzo 2015 quando, aggirando
l’Amministrazione, rivolse davanti al Congresso un attacco durissimo
all’accordo sul programma nucleare iraniano tanto cercato da Obama
nonostante la posizione fortemente contraria di Israele. E comunque,
sgambetti di Netanyahu a parte, il presidente Usa ha assicurato allo
Stato ebraico un accordo decennale di aiuti militari statunitensi per 38
miliardi di dollari. Tuttavia il contenuto politico dell’elogio funebre
di Peres, potrebbe anticipare un nuovo passo di Obama, dopo le elezioni
che proclameranno nuovo presidente Hillary Clinton o Donald Trump, e
prima della fine dell’anno. Si parla di un via libera
dell’Amministrazione uscente alla conferenza internazionale su Israele e
Palestina che il presidente francese Hollande intende convocare entro
il 2016 e che è vista come fumo negli occhi da Netanyahu che insiste per
un negoziato (peraltro inesistente) soltanto bilaterale con i
palestinesi.
Mentre i funerali assumevano, come prevedibile, un
carattere politico, Shimon Peres è stato sepolto non lontano dalla Tomba
del suo compagno di partito e rivale Yitzhak Rabin.