il manifesto 19.10.16
Il bilancio e il modello delle mance
di Roberto Romano
Il
bilancio pubblico dell’Italia presentato sabato dal governo Renzi
rimane un mistero. Ad oggi non abbiamo nessuna relazione di
accompagnamento; i tecnici sono ancora al lavoro nelle coperture per
dare una soluzione alle così dette clausole di salvaguardia (15
miliardi); le misure e i provvedimenti delineati nelle slide sono ancora
tutti da verificare. Solo per fare un esempio, ricordo che i risparmi
legati alla spending review sono passati da 2,6 a 3,3-6 miliardi.
Difficile credere che nell’arco di pochi giorni il braccio destro di
Renzi abbia trovato più di un miliardo di risparmi rispetto a quelli
delineati durante un anno di lavoro.
Se fosse vera l’informazione,
il responsabile della spending review sarebbe licenziato per manifesta
incapacità. Ma la situazione è, purtroppo, molto più seria. Una
rappresentazione della serietà della crisi è, per esempio, il
(possibile?) decreto legge che cancella Equitalia; nessuno sapeva niente
della misura, né il titolare del ministero di competenza, né Rossella
Orlandi (Equitalia). Smentiranno, ma non è facile accettare una
sanatoria che taluni stimano sui 51 miliardi. I condoni di Tremonti sono
rientrati non dalla finestra, ma dal portone principale.
Questa
breve rassegna del buco nero della legge di Stabilità serve per
descrivere il clima all’interno della compagine governativa ed
evidenziare la necessità di un extra deficit, senza il quale la manovra
andrebbe dritta dritta nel buco nero. Senza flessibilità i conti non
tornano e le politiche accomodanti per imprese, evasori e mance varie
sarebbero impossibili da realizzare. Questa è la cornice del dibattito,
ed è un vero peccato avere come primo ministro Renzi.
La
discussione di questi giorni in Europa è, infatti, molto più seria di
quella che traspare dall’informazione nazionale e il silenzio di Padoan è
più prezioso dell’oro. In discussione c’è il modello europeo di
valutazione del così detto deficit strutturale. Dal 2011 i principi
europei sottesi alla valutazione dei bilanci pubblici non sono più
quelli di Maastricht e la famosa (fatidica) soglia del 3% del rapporto
deficit/Pil, è piuttosto il pareggio-deficit di bilancio strutturale. In
molti (troppi) discutono del rapporto deficit/Pil, comunque importante,
ma l’Europa considera un altro e più stringente criterio, cioè il
deficit rispetto al così detto output gap. Si tratta del Pil potenziale,
cioè il reddito plausibile qualora fossero utilizzati tutti i fattori
di produzione senza rischio di inflazione. Come ricorda Padoan «… il
prodotto reale di un’economia e il suo potenziale, costituisce
l’elemento essenziale per valutare le politiche fiscali di un paese sia
nell’ambito del Patto di stabilità e sviluppo, sia nella legislazione
italiana…».
Non condivido la teoria sottostante, il Pil non è mai
uguale a se stesso, ma all’interno di questo modello ci sono dettagli
che cambiano il segno del Pil potenziale. Sono due i metodi di calcolo
del Pil potenziale: uno europeo e uno Ocse.
Senza entrare nel
dettaglio delle metodologie, entrambe legati alle teorie economiche
neoclassiche, l’esito del Pil potenziale è significativamente diverso:
utilizzando il secondo metodo la crescita potenziale dell’Italia sarebbe
migliore di quella registrata con il modello europeo. Sostanzialmente,
con il metodo europeo il Pil reale e quello potenziale coincidono più di
quanto non accada con il modello Ocse. Tutte e due i metodi dimenticano
il passato, ma quello europeo il passato non lo riconosce proprio.
Tanto più alto è il Pil potenziale, tanto più il deficit strutturale
diventa basso, lasciando uno spazio finanziario che potrebbe essere
utilizzato per rilanciare la domanda interna.
Ovviamente questo
extra deficit lasciato a Renzi sarebbe un vero dramma. Se avesse queste
risorse le sperpererebbe in azioni inutili e dannose per l’economia
italiana; non sarebbe possibile inventare la storielle della riduzione
della pressione fiscale (potenziale) dovuta alla soluzione delle poste
legate alle clausole di salvaguardia, prefigurando una crescita del Pil,
legata a questa riduzione teorica delle tasse, dello 0,3%. Una
affermazione assurda che dovrebbe essere preventivamente filtrata dalla
normale intelligenza. Per capirci: le imprese italiane hanno forse
anticipato gli investimenti nel 2016 per paura dell’aumento di Iva e
Accise nel 2017 conseguenti alla clausola di salvaguardia? Non mi
sembra, ma questo è quello che pensa Renzi.
Nel mirino della
Commissione Ue ci sono la «qualità» delle coperture con il ricorso a
misure una tantum, l’ampiezza del maggior deficit utilizzato e il
processo di riduzione del disavanzo strutturale. Usare un metodo
piuttosto che un altro cambia il segno di tutta la manovra. Rimane
disarmante l’approccio di Renzi con la Commissione europea. Poteva
rivendicare un ruolo diverso, ma condividendo le politiche europee si
accontenta delle mance. In fondo è il suo modello di governo.