il manifesto 13.10.16
D’Alema riempie la platea del No
Riforma
costituzionale. Con l'ex presidente del Consiglio tanti esponenti di
centrodestra, un po' meno di centrosinistra, e molte vecchie glorie
della politica. Ma la proposta di riforma costituzionale "condivisa" per
il dopo referendum, in caso di vittoria del No, è davvero minimale
di Andrea Fabozzi
Fini
e Dini, Calvi e Salvi, tanto centrodestra (Romani, Brunetta, Fedriga,
Schifani, Gasparri…), un po’ meno centrosinistra (Civati, Tocci,
Zoggia…), vecchie glorie (Pomicino, Gargani), costituzionalisti di
diverse sponde (Cheli, Gallo, Antonini, Pertici e poi l’ingresso,
applaudito, di Stefano Rodotà), persino Ingroia. Massimo D’Alema è il
primo a rendersi conto che la composizione articolata – diciamo – della
sua platea può essere un problema.
In altri tempi, la capacità di
mettere assieme culture ed esperienze politiche così diverse – e c’è
anche il senatore Ferrara capogruppo del Gal – sarebbe stata un valore
aggiunto. Tanto più in una campagna per il referendum, dove o si vota Sì
o si vota No, e allora bisogna conquistare elettori dall’altra parte
della barricata. «Il referendum si vince a destra» non l’ha detto
D’Alema, anche se probabilmente l’ha pensato pure lui vista la mossa di
presentarsi per la prima iniziativa pubblica (dopo quella di lancio del
suo comitato a settembre) con accanto l’ex berlusconiano, ed ex
ministro, Gaetano Quagliariello. Ma è contro D’Alema che si scatenano le
ironie dei renziani da social media e le tante prese in giro per
l’allegra brigata del No. D’Alema se lo aspetta, e spiega: «Non c’è un
fronte politico del No, mentre esiste un blocco politico del Sì, uno
schieramento anche abbastanza minaccioso che copre di insulti chi la
pensa diversamente». Quorum ego, intende dire, non essendo tipo che
dimentica presto gli attacchi ricevuti da Lotti e da Orfini (all’ex
delfino replica con un acidissimo elogio al «capolavoro delle elezioni
di Roma, un vero manuale di come non si fa politica»). E a proposito di
ex, si distingue Gianni Cuperlo, che critica D’Alema non per la
compagnia ma per quello che ha detto, in particolare per una frase sul
«clima di paura e intimidazione che fa sentire in colpa chi è per il No,
come se portasse il paese verso il baratro». «Non condivido il senso,
la natura e lo stile di queste dichiarazioni», dice Cuperlo.
Il
programma di D’Alema, però, non si ferma alla campagna per il
referendum. Guarda fuori dal Pd e vuole, come ha detto altre volte,
«riaprire una prospettiva a sinistra battendo il partito della nazione».
E vuole anche sfuggire l’accusa di saper dire solo di no, per cui ci
tiene a un progetto di riforma costituzionale «minima» che possa essere
condiviso, a differenza di quello renziano, e possa essere approvato da
questo stesso parlamento in caso di vittoria del No. Prima della
conclusione della legislatura. Solo che il progetto presentato ieri, con
Quagliariello – anzi, da Quagliariello -, è davvero minimale, affronta
solo, in due articoli, la riduzione dei senatori (da 315 a 200) e dei
deputati (da 630 a 400). Per cui appaiono un po’ sopra misura i
ringraziamenti di D’Alema ai «tanti studiosi che con molto coraggio
hanno lavorato a questa proposta». Proposta anche più prudente di
quella, già timida, che era stata annunciata. Perché non c’è nulla di
concreto – solo una scheda – sulla «commissione di conciliazione», che
potrebbe rappresentare una soluzione sul modello americano al problema
della «navette» tra camera e senato (ammesso che sia un problema). E non
c’è nulla di nulla, neanche una scheda, sulla fiducia alla sola camera,
che pure D’Alema aveva sposato nella precedente uscita. In effetti è
una riforma che è più facile sposare in teoria che scrivere in concreto.
Più interessante per i tanti parlamentari in sala un’altra notazione di
D’Alema: «La vittoria del No è l’unica garanzia che la legislatura vada
avanti».