Corriere 3.10.16
Il caso Monte Paschi
Un’opaca vicenda bancaria
di Ferruccio de Bortoli
Sono
giornate decisive per il futuro del sistema bancario italiano.
Discussioni private molto accese, ed è un eufemismo. Dibattito pubblico
pressoché assente. Dobbiamo tutti augurarci che il Monte Paschi risolva
finalmente i suoi problemi di ricapitalizzazione e di sistemazione dei
crediti in sofferenza, che le quattro good bank (Marche, Ferrara,
Chieti, Etruria) trovino un compratore, che il fondo Atlante completi il
salvataggio degli istituti veneti e non solo. Naturale che il governo
sia impegnato al massimo nel promuovere una soluzione privata. Un
intervento pubblico, per la normativa europea, penalizzerebbe azionisti e
obbligazionisti subordinati e non. Il senso di responsabilità nazionale
non ci impedisce, anzi ci impone, di avanzare qualche scomoda
questione. Le modalità con cui è stato cambiato il vertice a Siena
avrebbero scatenato, in altri tempi, forti polemiche. Cominciamo da una
telefonata. È il 7 settembre. Il ministro dell’Economia Padoan, su
incarico di Renzi, chiama il presidente Massimo Tononi, per dirgli «da
ambasciatore» di licenziare l’amministratore delegato Fabrizio Viola. Il
Tesoro ha solo il 4 per cento della banca quotata in Borsa. Tononi non
gradisce la procedura irrituale e qualche giorno dopo si dimetterà. Fa
presenti le difficoltà di trovare — nelle condizioni particolari in cui
versa la banca che pure oggi guadagna — un sostituto. Il ministro gli
dice che il nome c’è già. È Marco Morelli, professionista molto
apprezzato ma con un passato nell’istituto senese .
G li organi
societari, in questa circostanza, sono ridotti a soprammobili. Gli altri
azionisti non contano nulla. L’incarico al cacciatore di teste, una
finta.
La forzatura è figlia di un accordo tra il governo e la
banca americana Jp Morgan del quale non sappiamo nulla. Renzi incontra a
pranzo a palazzo Chigi il numero uno Jamie Dimon su sollecitazione di
Claudio Costamagna, presente l’ex ministro Vittorio Grilli, oggi in Jp
Morgan. Una delle più grandi banche d’investimento mondiali promette di
impegnarsi nell’aumento di capitale di Siena, nella concessione di un
finanziamento ponte (bridge financing) finalizzato alla successiva
cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (non performing loans) .
Agli americani Viola non piace, preferiscono Morelli che ha lavorato con
loro. La Bce non gradisce la sostituzione. L’amministratore delegato
uscente, peraltro, aveva appreso della sua sostituzione da un sms
scrittogli da Marco Carrai, non si sa a quale titolo interessato alla
vicenda.
Può darsi che la proposta di Jp Morgan, con Mediobanca in
un ruolo minore, sia l’unica percorribile. Ma visto l’attivismo di
Renzi e Padoan, se dovesse fallire coinvolgerebbe l’intero governo,
complicando la soluzione B (capitale pubblico) che pure si sta
studiando. Quali sono gli accordi allora? E qui la vicenda si complica. E
si fa oscura. Al momento non risulterebbe firmato alcun contratto tra
Mps e Jp Morgan per il prestito e la cartolarizzazione. Particolare
curioso. Solo un pre underwriting agreement , e solo per l’aumento di
capitale: poco più di una stretta di mano. Il successo dell’aumento di
capitale (cinque miliardi) comporterebbe per Jp Morgan una commissione
del 4,75 per cento che sia Tononi sia Viola hanno giudicato elevata.
Ma
sono i crediti in sofferenza posti a garanzia, e la loro messa sul
mercato attraverso cartolarizzazioni a sollevare non poche perplessità.
In sintesi, l’operazione è questa. Mps cede 9 miliardi di sofferenze
nette su 28 lorde. Svalutandole in bilancio, prima della cessione, si
crea un ammanco di capitale che va coperto. A fronte della cessione di 9
miliardi di sofferenze, Mps dovrebbe ottenere 7,6 miliardi, di cui 1,6
da Atlante e 5 da Jp Morgan come prestito ponte per 18 mesi.
Il
prestito guidato da Jp Morgan però sarebbe concesso con la garanzia di
tutti i non performing loans . Se qualcosa dovesse andare storto, la
banca d’affari si prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo effettivo
di 18 centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati
subito. Il margine di guadagno potenziale sarebbe elevatissimo. E
Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane, compresa la Cassa
depositi e prestiti con i soldi del nostro risparmio postale, perderebbe
tutto.
Non solo. Jp Morgan, per fare una valutazione delle
sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del gruppo
americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante
che si è affidato a Fonspa. Qui si pone anche un duplice rischio. Il
primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in
sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio
delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan. Il secondo che si formi
una posizione dominante visto che Italfondiario non si limiterebbe, come
Fonspa, alla valutazione dei crediti, ma è anche il principale
operatore nella gestione e nella riscossione. Tutto ciò sarebbe in
contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps con
Quaestio, ovvero Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e
trasparenza» nella gestione di un mercato delle sofferenze che avrà
dimensioni colossali.
Con l’indebolirsi delle grandi banche
d’investimento europee (Deutsche Bank è il caso più clamoroso), le
istituzioni americane hanno gioco facile. Ne ha parlato ieri su queste
colonne Lucrezia Reichlin. Muovono capitali ingenti, arruolano ex capi
di governo e ministri. Jp Morgan è istituzione seria. Ma un po’ più di
trasparenza nei rapporti con il governo e nella ristrutturazione del
capitale Mps appare opportuna, specie tenendo conto che la banca
americana sarà impegnata anche nell’aumento di Unicredit.
Tra i
tanti dubbi che questo caso solleva, ci rimane da capire quali consigli
darà Jp Morgan alla sua clientela nello scegliere tra i titoli dei due
istituti, Mps e Unicredit. E se poi, nello sbrogliare la matassa di
Siena, non avrà alcun ruolo chi confezionò, in Jp Morgan, ai tempi di
Mussari e Vigni, il famoso, o meglio famigerato, strumento finanziario
«Fresh» per l’acquisto da parte di Mps di Antonveneta. Uno strumento
complicatissimo che permise alla Fondazione Monte Paschi di mantenere il
controllo a Siena, però con soldi a debito. Operazione che ottenne
l’avallo dello stesso Grilli, allora direttore generale del Tesoro con
supervisione delle Fondazioni.
I guai cominciarono lì. La memoria
del Paese è corta. Quella di risparmiatori, azionisti e lavoratori delle
tante banche coinvolte un po’ meno. Rinfrescarla fa bene a tutti.