Corriere 31.10.16
Severino: non ci sarà la Terza guerra mondiale
L’intervista
 Secondo il filosofo le grandi potenze che potrebbero scontrarsi sono in
 realtà destinate al tramonto perché verranno sopraffatte dalla 
tecnica
di Daniela Monti
Emanuele Severino 
(Brescia, 1929) è uno dei filosofi italiani più noti, autore di 
numerosi saggi. Docente all’Università Cattolica, la lasciò nel 1969 
per il conflitto tra il suo pensiero e la dottrina della Chiesa. Il tema
 della tecnica è da tempo al centro delle sue riflessioni
Un’ipotetica
 e spaventosa Terza guerra mondiale come «guerra di retroguardia» 
rispetto al «conflitto primario» che è già in atto: quello fra l’insieme
 delle forze che si servono della tecnica — il capitalismo, la 
democrazia, le religioni, il comunismo, i nazionalismi — e la tecnica 
stessa.
Le forze della tradizione credono di guidare il gioco, ma 
in realtà ne sono già ai margini. Per prevalere l’una sull’altra, devono
 potenziare il mezzo tecnico di cui si servono. Ma così facendo, 
dimenticano il loro scopo originario — accrescere il profitto per il 
capitalismo, fare la volontà di Allah per l’Islam. Diventano cioè 
qualcosa di diverso: detto nella terminologia più squisitamente 
severiniana, «sono destinate al tramonto». Una «destinazione» il cui 
senso autentico sfugge alla cultura contemporanea, umanistica quanto 
scientifica. Non alla filosofia.
A vincere dunque è la tecnica, 
ovvero il «dono avvelenato» dell’Occidente, il dispiegamento del 
«progetto di trasformazione del mondo» portato avanti — una volta 
decretata «la morte di Dio» — dall’apparato tecnologico, scientifico, di
 pensiero razionale, fisico, matematico destinato a diventare più forte 
dei sistemi che oggi se ne servono. E l’uomo? È un mezzo per 
l’incremento della potenza della tecnica, non il fine, «l’umanità della 
tecnica è la morte dell’uomo».
Sarà Emanuele Severino ad aprire il
 convegno internazionale che si svolge giovedì 3 novembre a Padova, dal 
titolo «Terza guerra mondiale?», nell’ambito delle attività del master 
in Death Studies & the End of Life dell’Università padovana, 
l’unico, non solo in Italia, a elaborare in forma scientifico-filosofica
 il problema della gestione della morte. «Il convegno vuole descrivere 
da un lato in che modo la morte, il nichilismo e la paura promuovono la 
violenza, il terrorismo e la guerra; dall’altro, cerca di dare voce alle
 strategie di comprensione del problema. Ed è per questo che il concetto
 di nichilismo di Severino diventa centrale», dice la direttrice del 
master Ines Testoni, che insieme al collega della Houston University 
Alessandro Carrera ha curato l’edizione inglese di Essenza del 
nichilismo , The Essence of Nihilism , per la Verso Books, fra gli 
editori più prestigiosi nel mondo culturale angloamericano.
Il 
libro, pubblicato in Italia nel 1972 dalla casa editrice Paideia di 
Brescia (la più recente edizione è del 2015 presso Adelphi), resta forse
 il più celebre di Severino, quello in cui ritrovare le fondamenta del 
suo pensiero: essenza del nichilismo, cioè essenza «della follia estrema
 ed estremamente nascosta: la persuasione che gli essenti, in quanto 
tali, escano dal loro non essere e vi ritornino». La traduzione (avviata
 anche in cinese) è dunque un riconoscimento al sistema filosofico 
organico, unitario e strettamente coerente di Severino che Carrera, 
nella sua prefazione, definisce un «castello magico, di cui L’essenza 
del nichilismo è la chiave per l’ingresso principale» (per proseguire: 
«Il lettore deve essere avvertito: ci vorrà un po’ di tempo per 
esplorare l’intero edificio». Ma una volta entrati, «se anche non si è 
d’accordo con l’architettura, forse troppo solida per la sensibilità 
postmoderna, non si vorrà più uscire»).
Professor Severino, una Terza guerra mondiale è possibile? E perché fare questa domanda alla filosofia?
«La
 possibilità è ammessa anche in campo scientifico, si pensi alle 
previsioni di George Friedman. Le frizioni tra Russia e Stati Uniti e le
 prove di guerra telematica di questi giorni ce lo ricordano. Tuttavia, 
nemmeno la politologia, la geopolitica, la sociologia, la psicologia 
tengono sufficientemente conto delle implicazioni che sussistono tra la 
tecnica guidata dalla scienza moderna e le forze che della tecnica oggi 
intendono servirsi per realizzare i loro scopi. Non si tiene conto, 
innanzitutto, di questo fondamentale principio: che lo scopo di 
un’azione più o meno complessa ne stabilisce la configurazione e la 
struttura. Le forze che oggi si servono della tecnica sono azioni di 
grande complessità, e appunto perché si servono della tecnica sono 
destinate ad assumere uno scopo diverso da quello che è loro proprio: 
sono destinate al tramonto e la tecnica è destinata a dominarle. Il 
risultato è sorprendente: la conflittualità tra tali forze diventa una 
guerra di retroguardia, obsoleta, rispetto al conflitto primario che 
esiste tra l’insieme di esse e la tecnica. La cultura del nostro tempo, 
quella umanistica non meno di quella scientifica, si lascia sfuggire il 
senso autentico di questa destinazione. La tecnica è destinata al 
dominio perché il sottosuolo essenziale della filosofia degli ultimi due
 secoli mostra che l’unica verità possibile è il divenire del tutto, in 
cui viene travolta ogni altra verità e innanzitutto la verità della 
tradizione dell’Occidente, che pone limiti all’agire tecnico. Di tutto 
questo, e di ciò che tutto questo implica, tiene lucidamente conto 
l’impostazione del convegno di Padova».
Che ne è dell’uomo in questo processo di autoaffermazione della tecnica?
«Lo
 scopo dell’Apparato tecno-scientifico planetario non è il benessere 
cristiano, capitalistico, comunista, democratico dell’umanità, ma è 
l’aumento indefinito della potenza; e la conflittualità tra le forze che
 oggi si combattono rallenta tale aumento. L’arricchimento dei venditori
 di armi non aumenta la potenza dell’Apparato tecno-scientifico: aumenta
 il loro capitale. Quindi l’Apparato si potenzia riducendo e infine 
eliminando tale conflittualità. Lo scopo dell’Apparato — ossia della 
forma suprema della volontà di potenza — non è l’“uomo”: l’“uomo” è 
mezzo per l’incremento della potenza; tuttavia, come il capitalismo, che
 prima ancora della tecnica ha già come scopo qualcosa di diverso 
dall’“uomo”, riesce a dare a quest’ultimo un benessere superiore a 
quello dei movimenti che, come il socialismo reale, si propongono invece
 di avere l’“uomo” come fine, così, e anzi in misura essenzialmente 
superiore, accade nell’Apparato, dove ancora più radicalmente del 
capitalismo l’“uomo” non è assunto come fine».
Pax technica: è questa la «destinazione» finale? La fine di ogni conflittualità?
«Prima
 di prevalere, l’Apparato tecnico planetario è costretto a reagire al 
tentativo delle forze della tradizione di non farsi mettere da parte. E 
questa reazione è un episodio — forse tra gli ultimi — delle guerre di 
retroguardia. La Terza guerra mondiale non può essere uno di questi 
episodi. Innanzitutto è mondiale se si contrappongono le maggiori 
potenze, che ancora oggi sono capaci di determinare la distruzione 
atomica del Pianeta, cioè Stati Uniti e Russia (il duumvirato Usa-Urss 
ha costituito una delle fasi decisive del passaggio al dominio tecnico 
del mondo). In esse è più avanzato che altrove il processo in cui la 
tecnica ha sempre più come scopo il proprio potenziamento. Se si esclude
 che proprio nei due luoghi primari del potenziamento tecnico abbia a 
prevalere quella totale cecità tecnologica che non fa loro comprendere 
l’identità dei loro scopi (cioè il potenziamento della tecnica) e quindi
 il carattere irreale dei motivi del loro contrapporsi, se cioè si 
esclude la cecità che impedisce loro di scorgere che il contrapporsi 
indebolisce e impedisce la realizzazione del loro stesso scopo comune e 
che li rende sempre più simili, allora non solo una Terza guerra 
mondiale è impossibile, ma si presenta come inevitabile il prevalere del
 senso autentico dell’“universalismo” tecnico. Questa inevitabilità non 
significa che la pax technica , a cui il prevalere della tecnica 
conduce, sia la fine di ogni conflittualità, ma determina un mutamento 
nella configurazione del nemico e della guerra. I nuovi nemici sono le 
forme storiche destinate a condurre oltre il tempo della stessa 
dominazione della tecnica — giacché nemmeno questa dominazione ha 
l’ultima parola. Anzi, l’inizio dell’ultima parola, che peraltro è una 
parola infinita, incomincia a questo punto».
 
