Corriere 17.10.16
L’anno zero per i maschi
La rinegoziazione in corso nella cultura contemporanea del rapporto uomo-donna
di Mauro Magatti
Sul
palcoscenico delle elezioni presidenziali americane Donald Trump e
Hillary Clinton mettono in scena, in un sorta di epica rappresentazione
che alterna toni da tragedia e da farsa, la rinegoziazione in corso
nella cultura contemporanea del rapporto uomo-donna.
Da un lato
Trump, lo spaccone, emblema del maschio che continua a giocare la
classica accoppiata potere-sesso. Ma in un mondo in cui sono cambiati i
rapporti di forza e l’intero ordine simbolico si va ridefinendo per
l’incalzare delle trasformazioni nella sfera riproduttiva, la
riproposizione del vecchio cliché di «sciupafemmine» (incarnato negli
ultimi anni da Berlusconi, Sarkozy, Strauss-Kahn) suona un po’ patetica.
Dietro il grottesco che affiora nelle affermazioni sessiste c’è in
realtà il tentativo, comprensibile ma perdente, del maschio
contemporaneo di rifugiarsi nell’ «usato sicuro» del conquistatore, pura
potenza esercitata arbitrariamente al di là della legge. Un modello che
pure tocca corde profonde dell’elettorato maschile, ma non può far
altro che forzare sempre di più i toni, fino ad autodistruggersi.
Dall’altra
parte Hillary, emblema della donna capace e determinata, madre e moglie
senza paura. La sua biografia rivela tratti «eroici». Dotata di uno
spiccatissimo senso del potere, Hillary ha tenuto insieme carriera e
famiglia, sopportando persino l’umiliazione del tradimento del marito
presidente; vera lady di ferro, come Thatcher e Merkel. Eloquente più di
mille parole il suo sguardo ironico durante il dibattito televisivo,
mentre interloquiva con un uomo che (come suo marito peraltro)
appartiene alla schiera dei «predatori sessuali» (Michelle Obama).
Eppure,
il suo problema è quello di non diventare solo una macchina da guerra,
più dura dell’uomo più duro, segretamente motivata dalla volontà di
dimostrare chi porta veramente i pantaloni.
Quanto sta accadendo
negli Stati Uniti ci riguarda dunque tutti, uomini e donne di questo
tempo chiamati a far avanzare un processo dagli esiti ancora incerti.
Per
evitare la fine patetica del Trump di turno, gli uomini di oggi devono
rendersi conto che è venuto il tempo di tentare qualcosa di simile a ciò
che le donne stanno facendo da un secolo rispetto al proprio ruolo: e
cioè chiedersi cosa vuole dire essere maschi oggi. In rapporto all’altro
sesso, ai figli, al mondo, a se stessi. Pensare di riprodurre i cliché
del passato è comodo, ma stupido. Non si tratta in ogni caso di arrivare
a delineare un nuovo modello standard. Cosa impossibile oltre che
insopportabile. Piuttosto, di elaborare il lutto di una primazia che il
maschio oggi (per fortuna) non ha più.
Occorre ammettere che siamo
all’anno zero: se non è più il potere che si traduce in sesso (come ha
espresso in modo così volgare Trump ai suoi compari), a quale immagine
possiamo rivolgerci? Forse, possiamo cominciare a pensare che il potere è
solo un pallido idolo di quel desiderio infinito che si può compiere,
sempre limitatamente, e quindi senza arroganza, in ciò che ci prendiamo
la responsabilità di far esistere.
Per le donne, si tratta di
completare una transizione: la lunga e difficile marcia verso
l’emancipazione è andata avanti e ha registrato tanti successi. In un
mondo in cui gli uomini possono essere ridotti a meri produttori di
seme, la donna acquista strutturalmente una nuova centralità. Ma qui sta
il punto: per le donne — e Hillary per prima — non è più questione di
puntare a un’assimilazione del modello maschile, di dimostrare chi sono i
«veri uomini». Si tratta, più ambiziosamente, di portare un contributo
per correggere le storture di un modello di convivenza che affonda le
radici nell’archetipo maschilista-patriarcale.
Il tesissimo, a
volte goffo, confronto Trump-Hilary parla di questo: ciò di cui abbiamo
bisogno è una nuova simbolizzazione del maschile e del femminile che,
nel processo di negoziazione di genere, riconosca il contributo
femminile — che al maschio non è affatto estraneo — a tessere i legami
tra le generazioni, includere, prendersi cura. Non nell’ordine
subordinato della famiglia patriarcale, ma come complemento simbolico a
ciò che drammaticamente manca al nostro mondo.