Corriere 13.10.16
Tra le mummie «riabilitate» un’ode al tempo che resiste
di Mirella Armiero
Tornano
in mostra le mummie del Museo Archeologico Nazionale di Napoli che ha
appena riaperto la sezione Egizia, rimasta chiusa per circa sette anni.
Una sezione importante, che ha origine da varie collezioni sette e
ottocentesche. Pezzo forte sono proprio le mummie, a lungo però ritenute
l’origine di un odore nauseabondo che è stato la causa della chiusura
della sezione.
Dopo il restauro portato a termine dai tecnici del
museo napoletano insieme a quelli dell’università Suor Orsola Benincasa,
le mummie sono state scagionate. Non erano loro, ma i finimenti di
silicone del vecchio allestimento a provocare lo sgradevole effetto.
«Oggi — spiega Luisa Melillo che guida l’équipe di restauratori
dell’Archeologico — abbiamo creato nelle sale della sezione un
microclima adeguato, secondo le norme attuali». Anche l’università
L’Orientale di Napoli ha collaborato nel rimettere a posto i preziosi
reperti. In particolare la cattedra dell’egittologa Rosanna Pirelli, con
Stefania Mainieri, che ha svolto la sua tesi di dottorato proprio sulla
collezione Egizia dell’Archeologico.
Ma di chi erano i corpi che
si celano dietro le bende? Abbiamo elementi di riconoscimento? «Non
sappiamo molto — chiarisce Mainieri —. Uno dei sarcofagi risale al 900
a.C. e dovrebbe appartenere a una donna intorno ai 25 anni». Non si
trattava di un personaggio di alto rango perché la decorazione mostra
una certa standardizzazione: nessun lusso sfrenato, quindi.
Ma la
mummia più significativa della collezione è quella di epoca tolemaica,
ovvero del 300-200 a. C., che ha il suo cartonnage originale, ovvero la
parte colorata che copre la testa e il busto. È l’unica integra, con
bitume sulle bende esterne che la rende molto pesante. «Poi c’è il
sarcofago Borgia, della omonima collezione. Ma si tratta di una falsa
mummia, creata con frammenti vari nel 1800».
E infine il bambino:
«Doveva avere 5 o 6 anni, è del periodo tolemaico e ha un nome maschile
sul sarcofago ma non sappiamo se è davvero pertinente al corpo», spiega
ancora l’egittologa. Tra gli altri pezzi di valore della sezione, una
rarissima coppetta con iscrizione in geroglifico corsivo. Si trattava di
un contenitore per medicine. «Sull’etichetta c’è scritto che era un
rimedio per la tosse, fatto con cumino, latte rappreso e miele». E
ancor, la cosiddetta Dama di Napoli, statua di un funzionario di III
dinastia, e il coccodrillo mummificato, uno dei più grandi mai ritrovati
con le proprie bende: misura infatti due metri, con due coccodrillini
che però non sono di certa pertinenza.
La collezione napoletana
conta circa 2.500 pezzi databili tra l’inizio dell’epoca dinastica e la
fine dell’epoca bizantina, e sono tutti provenienti da collezioni
private. Per dare maggiore omogeneità, il nuovo allestimento a cura di
Valeria Sampaolo, prevede un’esposizione organizzata per aree tematiche.
In particolare, una sezione introduttiva nelle prime due sale racconta
la storia delle acquisizioni progressive del Museo napoletano, a partire
dal 1821 quando il direttore dell’epoca, marchese Michele Arditi,
realizza il Portico dei Monumenti Egizi.
L’esotismo in voga in
quei tempi e il gusto influenzato dalle prime scoperte in Egitto fecero
della collezione un elemento di grande richiamo, dentro un istituto
musea