Corriere 13.10.16
il cambio di passo sui migranti sfida di una sinistra riformista
di Goffredo Buccini
L’ultima
viene da Calizzano, Liguria. Il sindaco di centrodestra del paesino ha
invitato quaranta migranti, collocati dalla prefettura in un hotel del
posto, a non usare i bus negli orari in cui gli studenti vanno a scuola.
E certo l’«invito» ha un brutto retrogusto segregazionista, come dice
il Pd regionale. Ma è anche vero che Calizzano è stato un Comune
virtuoso nell’accoglienza, i migranti dovevano essere la metà, tensioni
soprattutto con le studentesse ce n’erano: forse il problema non si
risolve negandolo, ma magari con bus più frequenti, e meno affollati,
e/o full immersion di educazione civica.
C’è insomma una questione
ben più grave del referendum del 4 dicembre a mettere in discussione la
tenuta stessa della nostra democrazia: un’ondata migratoria da 150 mila
persone l’anno, mille e mille Calizzano in arrivo. Per la sinistra
riformista girarsi dall’altra parte significa lasciare, da un lato, al
benaltrismo della sinistra massimalista (il vero problema non è il bus
tra calca e imprecazioni ma l’eredità del colonialismo...) e,
dall’altro, alla xenofobia della destra identitaria la gestione della
sicurezza, vera o percepita, tema centrale della convivenza. Non si
tratta di «copiare un po’» gli xenofobi, la gente alla fine sceglierebbe
l’originale. Ma di prosciugare l’acqua dove nuotano: la paura, che ha
contagiato l’Inghilterra della Brexit, l’Ungheria di Orbán, l’Austria
appesa a un filo, la Francia e la Germania che s’accostano a un 2017
elettorale dove, inutile illuderci, i partner europei, alle prese con le
loro grane, ci lasceranno soli. La mitica redistribuzione dei profughi
s’è rivelata una fola per bambini.
I migranti ci servono. Pagano
già le nostre pensioni e, senza di loro, da adesso alla metà del secolo,
la popolazione italiana calerebbe di alcuni milioni e sarebbe composta
soprattutto di vecchi. Ma bisogna trovare il modo di farli stare con
noi, non contro di noi.
Il punto è stato colto a sinistra
soprattutto dai sindaci, che vivono certi attriti sulla pelle. Giuseppe
Sala a Milano ha strappato il velo chiedendo al governo «un cambio di
passo». Prima di lui, ma da un palco meno visibile, Vicenza, lo aveva
fatto Achille Variati («stiamo trasformando un popolo di disperati in un
popolo di clandestini»). Piero Fassino ha parlato di «superamento della
soglia governabile»: «Rischiamo di essere travolti». A Genova un
autocandidato sindaco, il pd Simone Regazzoni, teme che, lasciando i
vicoli del centro fuori controllo, la prossima tornata elettorale sarà
un’ecatombe e s’è messo a incalzare il sindaco Doria perché affronti il
«tabù». Pagine Face book come «Di sinistra e antirazzista ma contro
l’invasione straniera» fanno capire quanto il sentimento popolare rischi
di sterzare anche la base democratica verso parole d’ordine e
semplificazioni salviniane. Come per il bus di Calizzano, la sinistra
riformista ha davanti un ventaglio di interventi razionali, e due
bussole: legalità e integrazione.
Anzitutto, l’adesione al sistema
Sprar, l’accoglienza diffusa, non può essere più solo su base
volontaria: è deflagrante che duemila Comuni virtuosi si facciano carico
dei restanti seimila, pericoloso il contenzioso prefetto-sindaco che
spesso ne deriva. Insediamenti minimi, parametrati alla popolazione
residente ma a carico di tutti (Alfano ha ragione sul punto), possono
essere facilitati portando i migranti al lavoro: allentando il patto di
Stabilità (come per il terremoto) per quei Comuni che li inseriscano in
occupazioni socialmente utili creando senso di comunità con i residenti.
Va
snellito l’iter di accettazione-espulsione, magari limitando la
possibilità di appello. Ora il limbo può durare anni, troppi fuggono o
diventano braccia per la malavita (l’Ismu stimava in 400 mila gli
irregolari nel 2015): un sistema amministrativo efficiente è la base di
una politica migratoria seria, che ovviamente passi anche attraverso gli
accordi bilaterali. «Rimandiamoli indietro» (ineffabile slogan
leghista) non vuol dire nulla, a meno che non si voglia abbandonarli in
mare o ricacciarli nel deserto libico da cui sono scappati a rischio
della vita.
Abbiamo accordi bilaterali con quattro Paesi al
momento, Tunisia, Nigeria, Egitto, Marocco. Dobbiamo averne con una
dozzina, incentivando le intese economicamente. È il Migration compact
renziano, che s’è perso per strada. I rimpatri devono essere più veloci e
sicuri, l’apprendimento della nostra lingua e della nostra educazione
civica condizione di permanenza. E tuttavia uno Stato lungimirante deve
dare un segnale al futuro, varando subito la legge sulla cittadinanza
delle cosiddette seconde generazioni (i figli dei migranti), bloccata da
un anno in Senato a causa di ottomila emendamenti leghisti. Sono questi
nuovi italiani, che qui studiano, lavorano e mediano tra culture, il
bus da non perdere: perché avanti c’è posto.