Corriere 12.10.16
Il Nobel Joseph Stiglitz: «La giustizia sociale serve anche al profitto»
di Marcello Parilli
Nobel
per l’Economia nel 2001 per il suo contributo alla teoria delle
asimmetrie informative («alcuni soggetti del processo economico hanno
accesso a informazioni da cui traggono vantaggio e che ne condizionano
il comportamento»), Joseph Stiglitz ha portato a Bologna uno sguardo
franco e diretto sullo stato dell’economia internazionale, con molte
ombre e qualche luce. «Le disuguaglianze che sono sotto gli occhi di
tutti sono paradossalmente frutto di un’economia di mercato le cui
regole del gioco sono state prima scelte e poi alterate in un clima di
democrazia — ha detto il professore della Columbia University di New
York —, minando la fiducia delle popolazioni verso i loro governi e la
solidarietà sociale. Così ha creato individui che sono diventati essi
stessi più egoisti». Sul banco degli imputati siedono gli Stati Uniti,
mitizzati almeno quanto poco capiti. «Contrariamente a quanto si crede,
l’economia americana non è affatto un’economia di successo: negli ultimi
40 anni solo il reddito dell’1% della popolazione è aumentato in
maniera consistente, senza che questo abbia portato benefici al resto
del Paese. I ricavi della crescita non sono stati infatti condivisi. I
poveri sono aumentati e anche per la classe media (il 90% degli
americani) non è cambiato praticamente niente, anzi il reddito si è
addirittura ridotto, così come è diminuita la speranza di vita. Anche il
fatto che gli Stati Uniti siano la terra delle opportunità è una
leggenda mal riposta e ai miei studenti dico sempre che c’è solo una
decisione molto importante che un americano deve prendere nella vita:
scegliersi i genitori giusti». Secondo Stiglitz le cause di questo
squilibrio sono relativamente recenti: «Circa una trentina d’anni fa è
iniziato un processo di riscrittura delle regole dei principi
dell’economia, che alla fine è stato gestito male. Con la diminuzione
delle tasse, la deregulation e, successivamente, la globalizzazione, si
pensava di apportare benefici generali, mentre a rimpinzarsi è stato il
solito 1%. Agli altri sono rimaste solo le briciole: crescita economica e
opportunità sono diminuite mentre è aumentata l’instabilità». È stato
un modello di sistema a entrare in crisi, in un clima di complicità tra
governi e realtà produttive: «Le aziende hanno strapagato amministratori
delegati e alcuni dipendenti col solo scopo di ottenere risultati
consistenti e in tempi brevi, anche a costo di giocare sporco — è il
caso delle recenti frodi nell’industria automobilistica o dello
sfruttamento del personale — rinunciando a investire in ciò che è
intangibile, immateriale, cioè il fatto di ottenere lealtà, fiducia da
parte dei lavoratori, preparazione, solidarietà. A loro volta i governi
hanno spesso compromesso la loro credibilità mentendo agli elettori o
dimostrando incompetenza». Un’alternativa? «Proprio il modello
cooperativo, che non ha il profitto come unico motore. Promuovendo la
solidarietà e la giustizia sociale, si otterranno migliori performance a
lungo termine sia in campo economico che sociale».