giovedì 8 settembre 2016

Repubblica 8.9.16
Una matematica dal volto umano
I ritratti dei grandi teorici come Turing, Wiener e Landau e l’incontro con la letteratura: il nuovo libro di Chiara Valerio
di Piergiorgio Odifreddi

Nel primo volume dell’”Uomo senza qualità” (1930) l’autore-ingegnere Robert Musil fa dire al protagonista-matematico Ulrich: «Un uomo che vuole la verità, diventa scienziato. Un uomo che vuol lasciare libero gioco alla sua soggettività, può diventare scrittore. Ma che cosa deve fare un uomo che vuole qualcosa di intermedio fra i due?». Bel problema, che Musil stesso non ha affatto saputo a risolvere, non riuscendo a venire a capo del suo capolavoro e lasciandolo non a caso incompiuto. Due ovvie
soluzioni sono possibili, e la prima è scrivere in maniera scientifica di argomenti soggettivi. Musil e Ulrich la pensavano così: «Quel che ci tranquillizza è la successione semplice, il ridurre a una dimensione, come direbbe un matematico, l’opprimente varietà della vita. Infilare un filo, quel famoso filo del racconto di cui è fatta la vita, attraverso tutto ciò che è avvenuto nel tempo e nello spazio. Agli uomini piace la serie ordinata dei fatti perché somiglia a una necessità, e grazie all’impressione che la vita abbia un “corso” si sentono in qualche modo protetti in mezzo al caos».
La seconda soluzione è scrivere in maniera soggettiva di argomenti più o meno scientifici. E poiché gli scrittori sono testimoni del proprio tempo che hanno giurato nel tribunale della letteratura di «dire di sé, tutto di sé, nient’altro che di sé», a seguire questa seconda via sono i letterati che il caos della vita ha portato ad avere una qualche competenza scientifica: ad esempio, matematica.
Per restringersi a quest’ultima, un caso emblematico è Aleksandr Solgenitsyn, premio Nobel per la letteratura nel 1970. Benché la sua fama sia dovuta all’incessante requisitoria contro i campi di lavoro stalinisti, culminata nei tre volumi di Arcipelago Gulag (1973), Solgenitsyn non solo era laureato in matematica, ma lavorò quattro anni come matematico nel Gulag e insegnò matematica e fisica nei tre anni del suo successivo esilio siberiano. Il suo romanzo Il primo cerchio (1968) racconta appunto una settimana della vita di un matematico nel Gulag, e lascia affiorare a varie riprese argomenti quali topologia, probabilità, teoria dei numeri, teoria degli errori, integrazione numerica di equazioni differenziali, funzioni di Eulero e serie di Fourier.
Un secondo esempio è Jacques Roubaud, membro storico dell’Oulipo fondato dal letterato Raymond Queneau e dal matematico François Le Lionnais con lo scopo di realizzare opere letterarie a struttura matematica. Roubaud dedica uno dei volumi della sua sterminata autobiografia alla Matematica (1997), e oltre a raccontare gli studi di dottorato con personaggi del calibro di Laurent Schwartz e Claude Chevalley si lancia in interessanti divagazioni: da un’esposizione della filosofia bourbakista a un’analisi dello stile letterario (!) degli Elementi di matematica di Bourbaki, da una critica dell’etica elitaria di André Weil a una rivendicazione della poetica come una branca della matematica applicata.
Un terzo e ultimo esempio è John Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003. Anche lui è laureato in matematica, benché questo non traspaia mai nei suoi romanzi puri: solo nel romanzo-saggio Diario di un anno difficile (2008), che affronta anche problematiche quali “come contiamo” e “come impariamo a contare”, e discute di come «certi concetti matematici quotidiani possono aiutare a chiarire la teoria morale». Anche Coetzee, nel secondo volume della sua trilogia autobiografica romanzata, intitolato
Gioventù (2002), racconta dei suoi studi matematici e dei cinque anni “sprecati” a lavorare come programmatore informatico.
È in questa nobile e alta tradizione che si inserisce il libro di Chiara Valerio Storia umana della matematica (2016), al quale il titolo redazionale non rende giustizia. A scanso di equivoci, infatti, e per la gioia del “lettore normale” che può tirare un sospiro di sollievo, non si tratta per niente di una storia della matematica nel senso convenzionale: una storia, cioè, in cui le teorie e i risultati divini costituiscono non solo il nucleo narrativo, ma il vero scopo della narrazione, mentre gli aneddoti sui loro autori umani non sono altro che un riempitivo per alleggerire la pillola, che i lettori più maturi possono anche saltare.
Storia umana della matematica è invece un racconto autobiografico, in cui l’autrice racconta il proprio rapporto con la matematica. Un rapporto non banale, perché Chiara Valerio ha una laurea e un dottorato in matematica, e per qualche anno l’ha insegnata in università e nella scuola. Ma poi è tornata alla sua vera vocazione letteraria, che era stata frustrata da un evento traumatico citato con rammarico per ben due volte nel libro: il fallimento all’esame di ammissione alla classe di lettere della Scuola Normale di Pisa.
Lei stessa conferma che si trattava di una vera vocazione: racconta di essere stata fin da adolescente una lettrice ossessiva e onnivora, e lo dimostra punteggiando il libro di acute, inaspettate e sorprendenti citazioni, quasi sempre di scrittori che non hanno nulla a che vedere con la matematica. E a volte anche di letterati che, benché ne scrivano, non ci capiscono comunque nulla: da Fëdor Dostoevskij al povero David Foster Wallace. Il primo, ad esempio, pur essendo di formazione un ingegnere, è riuscito in una famosa e sfortunata pagina dei Fratelli Karamazov (1879) a confondere fra loro ben quattro geometrie (sferica, euclidea, iperbolica e quadridimensionale), stabilendo un primato per il maggior numero di fraintendimenti nel minor numero di righe.
Pur senza conoscere ancora la matematica che avrebbe studiato da grande, Chiara Valerio ne aveva già avuta una visione privilegiata da piccola: non solo per gli stimoli ricevuti dal padre, fisico di professione, ma anche per la sua non comune ipersensibilità percettiva. È così che argomenti banali come le rotaie del treno, l’asciugacapelli, il gioco del lotto o il lancio di un gatto dal balcone fornirono a lei allora, e forniscono al lettore ora, altrettanti spunti per approdare alle geometrie non euclidea e quadridimensionale, al calcolo delle probabilità e alla balistica.
La voracità di lettura di Chiara Valerio, esercitata anche sui testi matematici, l’ha poi portata a leggere a suo tempo le opere di alcuni grandi matematici alla stessa stregua di quelle dei grandi scrittori, e a citare altrettanto acutamente e proficuamente pure quelle. La sua scelta è ovviamente personale e selettiva, ma dalle pagine del suo libro emergono le figure di giganti istituzionali come Pierre-Simon de Laplace e Norbert Wiener, e di protagonisti più inaspettati e curiosi come Mauro Picone e Lev Landau.
Le loro storie costituiscono la parte “umana” di questo originale libro, che forse si potrebbe intitolare più accuratamente Storia umana di una matematica, o Storia matematica di un’umana. Una matematica, o un’umana, che come il Jean-Paul Sartre de Le parole (1964) avrebbe potuto concludere dicendo: «Del mio libro, alla fine, cosa rimane? Una donna, fatta di tutte le donne e che le vale tutte e ne vale ciascuna».
IL LIBRO GLI INCONTRI Storia umana della matematica di Chiara Valerio (Einaudi, pagg. 166, euro 18) L’autrice ( foto) sarà l’ 11 al festival di Mantova e il 17 a Pordenonelegge