Repubblica 5.9.16
La strada in salita della produttività
di Ferdinando Giugliano
DOPO
la radio d’agosto, tocca alla politica di settembre avere il suo
tormentone. Per il premier Matteo Renzi e i suoi colleghi di governo, il
mantra della prossima legge di bilancio è diventato la produttività.
LA
SVOLTA sarebbe molto condivisibile, se non restassero dubbi circa la
sua reale portata. Il rischio è di un esecutivo che si avvicini a Fedez e
J-Ax, limitandosi semplicemente a un “vorrei ma non posso”.
La
crescita della produttività misura la capacità di un’economia di
produrre di più senza aumentare il numero delle ore lavorate. L’assenza
di miglioramenti significativi nell’efficienza del nostro sistema
produttivo è la causa principale dietro la stagnazione italiana degli
ultimi quindici anni e della crescita lenta dei salari.
La
riscoperta da parte di Renzi della produttività sembra avere radici
politiche oltre che economiche. La stagnazione del prodotto interno
lordo nel secondo trimestre ha obbligato il premier a elaborare una
nuova narrazione, incentrata sull’importanza di guardare al lungo
periodo invece che all’immediato. A questo contribuisce lo stretto
margine di manovra che rimane a livello europeo. Questo weekend, il
vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis ha detto
chiaramente che l’Italia non può avere deficit eccessivi visto l’enorme
debito pubblico. Puntare sulla produttività è un buon modo per evitare
lo scontro a livello europeo e magari ottenere un po’ di spazio fiscale,
grazie alle norme sulla flessibilità che premiano i governi che si
adoperano per rendere le loro economie più efficienti.
Il problema
per l’esecutivo è che la produttività non è un pranzo di gala.
L’aumento dell’efficienza in un settore può infatti richiedere forti
tagli al personale, creando problemi sul piano politico. Il rischio che
abbiamo davanti è che, come altre volte in questi primi due anni e mezzo
di governo, le riforme arrivino solo a metà, come è accaduto, ad
esempio, per la legge sulla concorrenza. Venerdì, al Forum Ambrosetti di
Cernobbio, Renzi ha raccontato con entusiasmo della velocità con cui
sta cambiando il mercato dei servizi di trasporto, dai taxi a Uber alle
macchine senza guidatore, ma si è dimenticato di dire che le normative
italiane a riguardo restano più simili a una Trabant che non a una
Ferrari.
La sfida più immediata si gioca sul mercato del lavoro.
L’introduzione del contratto unico a tutele crescenti non è stata
accompagnata da una riforma della contrattazione, per meglio allineare
la produttività agli stipendi. L’idea che circola nelle stanze di
Palazzo Chigi è di estendere e rafforzare la detassazione dei contratti
di produttività, incentivando quindi i contratti aziendali. Ancora
meglio sarebbe implementare misure più decise, che permettano alle
aziende di svincolarsi facilmente dal contratto nazionale. Nel settore
pubblico, poi, sarebbe opportuno essere più rigidi nella distribuzione
dei premi sulla base di una reale meritocrazia.
Le hit estive
tendono a scomparire con l’arrivo dell’autunno, per lasciar posto a
nuovi ritornelli appena nove mesi dopo. L’auspicio è che col suo piano
per la produttività Renzi voglia essere ricordato come un grande
classico e non solo come un motivetto passeggero.