Repubblica 23.9.16
Oggi il ricordo di Mattarella con una attenzione all’attualità
La lezione di Moro all’ombra del referendum
di Stefano Folli
Stamane
il presidente della Repubblica celebra Aldo Moro nel centenario della
nascita. Sarà un discorso significativo, non solo per la rilevanza dello
statista pugliese nella storia del dopoguerra, ma anche per il peso
decisivo che egli ebbe nella formazione politica e ideale di giovani
democristiani tra i quali c’era Sergio Mattarella. Non ci sono
indiscrezioni, ma è facile immaginare che il capo dello Stato parlerà
soprattutto della stagione di Moro e del suo lascito, molto meno - in
questa occasione - della tragedia di via Fani, della prigionia e
dell’assassinio. Si può anche escludere che Mattarella voglia compiere
una qualche “operazione nostalgia”. Non è nel suo stile e finirebbe per
sminuire l’omaggio che le istituzioni rendono a uno dei massimi
esponenti della vicenda repubblicana.
Tuttavia è inevitabile che
il discorso sarà analizzato in ogni aspetto, alla ricerca di qualche
riferimento indiretto all’attualità. Non c’è da stupirsi. Aldo Moro è la
figura simbolo di una lunga fase politica. Era l’uomo delle mille
sfumature, delle mediazioni, delle convergenze ricercate anche quando
sembravano impossibili. Non sorprende il paragone con Giolitti. Nella
sua persona tormentata si riassumeva tutta la complessità della storia
italiana: l’urgenza di legare tra loro i fili, di non spezzarli, di non
accentuare le lacerazioni.
È stato, come è noto, l’uomo della
solidarietà nazionale e della coesione in un’epoca in cui la guerra
fredda non era ancora finita e il terrorismo brigatista ne rappresentava
una drammatica propaggine. Non a caso sembrava predestinato alla
presidenza della Repubblica. Anche per questo è difficile credere che la
celebrazione di Moro sia del tutto avulsa dalla realtà attuale. Per
quel che si può capire, anzi, la solennità che Mattarella ha voluto dare
all’evento ne fa uno dei passaggi-cardine per individuare il carattere e
la prospettiva del settennato. Da leggere in controluce insieme al
prossimo ricordo di Sandro Pertini nel centoventesimo anniversario della
nascita: anche qui è previsto un importante intervento di Mattarella,
volto a sottolineare il ruolo del presidente socialista - eletto al
Quirinale in quel terribile 1978 - nella parabola istituzionale della
nazione.
Moro e Pertini. Due personaggi essenziali per comprendere
il senso e la crisi del lungo periodo post-bellico che oggi viene
impropriamente definito la Prima Repubblica. Mattarella li prende in
esame entrambi, a distanza di pochi giorni uno dall’altro, nel momento
in cui si avvicinano alcune scadenze politiche cruciali. Una è la legge
di stabilità, con tutte le incognite della stagnazione economica e di
una tensione irrisolta con l’Unione (“L’Italia ha già avuto 19 miliardi
di flessibilità” ha messo in chiaro bruscamente il presidente della
Commissione, Junker). L’altra coincide con il tema che da mesi domina il
dibattito, sia pure in modo confuso: il fatidico referendum
costituzionale per il quale si dovrebbe votare il 4 dicembre, sempre che
il governo decida in tal senso.
Proprio l’esito del referendum
costituirà uno spartiacque. Nessuna apocalisse, come vuole una certa
propaganda, ma senza dubbio il risultato stabilirà un “prima” è un
“dopo”. I sondaggi continuano a essere molto incerti e si riflettono nel
nervosismo di Palazzo Chigi. La vittoria del SÌ non risolverà i
problemi aperti, ma lascerà nelle mani del premier Renzi lo scettro
politico. L’affermazione del NO, viceversa, riporterà il Quirinale al
centro della scena e toccherà al capo dello Stato prendere difficili
decisioni. Sia che Renzi resti alla guida del governo, sia che il
prescelto sia un altro, il presidente della Repubblica dovrà garantire
una sorta di tutela all’esecutivo e curarne gli indirizzi generali
almeno fino al termine della legislatura.
Non è strano allora che
il ricordo di Moro e Pertini acquisti un particolare valore. Il primo ha
simboleggiato la forza della politica e, come si è detto, la coesione
nazionale. Il secondo ha segnato il cambio di passo del Quirinale,
l’avvio di un’era di capi dello Stato interventisti quando era
necessario. E Pertini, vale ricordarlo, fu uno dei presidenti più amati
dal popolo.