giovedì 15 settembre 2016

Repubblica 15.9.16
“Batteri nello spazio così esporto la vita negli altri pianeti”
Il fisico Claudius Gros parla del suo Progetto Genesis “Piccole sonde porteranno microrganismi per produrre ossigeno”
intervista di Luca Fraioli Claudius Gros

ROMA. «La vita è splendida. E mi piacerebbe vederla anche su altri pianeti», dice con un marcato accento tedesco il professor Claudius Gros. Docente di fisica teorica alla Goethe Universität di Francoforte, ha imparato l’italiano nei suoi anni di liceo trascorsi a Roma. «Ma ormai non lo parlo più bene». E così quando deve scendere nei dettagli tecnici del suo Progetto Genesis, il cui obiettivo è esportare la vita nel cosmo, tra batteri, anni luce e intelligenza artificiale, abbandona la nostra lingua per un più pratico inglese. Un mese fa Gros ha pubblicato uno studio su come “contaminare” pianeti di altri sistemi solari con microrganismi terrestri, accolto dalla comunità scientifica con molta curiosità e qualche ironia.
Professore, in cosa consiste il Progetto Genesis?
«Innanzitutto si deve lasciare la Terra. Immagino sonde simili a quelle del progetto Starshot, con piccoli veicoli dotati di vele e spinti da raggi laser. Una volta arrivate a destinazione, le sonde entreranno nell’orbita del pianeta ed esamineranno se c’è qualche forma di vita complessa. In caso affermativo la missione verrebbe automaticamente fermata ».
Abbiamo già oggi la tecnologia necessaria per capire se c’è vita o meno?
«È difficile fare una valutazione del genere a distanza di anni luce, ma se arriva vicino al pianeta una sonda può certamente verificare l’esistenza di una biosfera o meno, per esempio attraverso sensori che misurino la presenza di ossigeno e anidride carbonica, elementi connessi all’attività biologica».
Ma così non finiamo per cercare solo forme di vita analoghe a quelle terrestri? Su altri pianeti la vita non potrebbe basarsi su un’altra chimica rispetto a quella del carbonio?
«Ormai la maggior parte degli scienziati è convinta che la vita basata sul carbonio è la più probabile. Idrogeno, carbonio e ossigeno sono tra gli elementi più abbondanti nell’universo. E anche le energie necessarie per le loro interazioni sono assai più basse di quelle che ci vorrebbero per una vita basata per esempio sul silicio».
Torniamo alla sonda: ha verificato che sul pianeta non c’è vita. Cosa succede?
«Invia sul pianeta dei batteri che grazie alla fotosintesi vivono e producono ossigeno. L’intelligenza artificiale a bordo del veicolo spaziale dovrà decidere, in base alle caratteristiche del pianeta trovato, che tipo di microrganismi rilasciare. In presenza di temperature molto alte o molto basse potrebbe far atterrare quei batteri estremofili che sulla Terra vivono nei pressi dei vulcani o all’interno dei ghiacciai. Comunque, dopo poche centinaia di anni, grazie alla fotosintesi e al fatto che i batteri proliferano in modo esponenziale, l’atmosfera del pianeta diventerebbe ricca di ossigeno. A quel punto la sonda potrebbe rilasciare batteri eucarioti e accelerare l’evoluzione della vita sul pianeta».
In che senso?
«Gli eucarioti sono microrganismi più complessi, capaci di dare poi origine a organismi pluricellulari. Sulla Terra il passaggio da procarioti a eucarioti ha però richiesto due miliardi di anni, quasi la metà dell’età del nostro pianeta. Poi è passato un altro miliardo di anni prima che si diffondessero gli organismi pluricellulari e quindi piante e animali come li conosciamo oggi. L’ipotesi più diffusa è che a ritardare la loro insorgenza siano state proprio le basse percentuali di ossigeno presenti nell’atmosfera terrestre. Noi potremmo accelerare il processo e trasformare per sempre l’esopianeta favorendo la nascita di ecosistemi complessi».
Ma è eticamente corretto cambiare l’habitat di un corpo celeste, per quanto lontano anni luce? Non è una replica di quello che stiamo facendo già sulla Terra?
«La differenza è che qui gli uomini lo stanno facendo per degli interessi economici. Mentre nell’esportare la vita altrove l’umanità non avrebbe alcun tornaconto, ma solo la possibilità di lasciare una eredità nell’Universo ».
Ma la vita nell’Universo è così rara che è necessario esportala?
«Credo che forme di vita fondamentali siano frequenti nel cosmo, ma l’evoluzione verso esseri viventi più complessi richiede tempi molto lunghi. Forse è anche per questo che nonostante si stiano scoprendo pianeti extrasolari relativamente vicini non abbiamo traccia di civiltà sviluppate ».
Per ora tutto sulla carta. Cosa occorre perché diventi realtà?
«Il primo passo è mettere a punto piccole sonde capaci di raggiungere gli esopianeti più vicini. Ci vorranno venti anni. Ed entro 50 o 100 Genesis potrebbe vedere il via».
Come le è venuta l’idea?
«Mi è sempre piaciuto esplorare luoghi sconosciuti. Già da ragazzo in Italia avevo una passione per le grotte. Ne visitai molte grazie ai miei amici del Circolo speleologico romano».