Repubblica 15.9.16
I veri poveri (dimenticati) d’italia
di Chiara Saraceno
PERIODICAMENTE
ci viene rammentato che, nonostante la nostra spesa sociale sia tutta
sbilanciata sulle pensioni, il 63% delle pensioni non supera i 750 euro e
due milioni non raggiungono i 500 euro, ovvero la minima. All’origine
vi sono storie lavorative e contributive frammentate, bassi salari,
pensioni di reversibilità derivanti da pensioni a loro volta modeste.
Anche se non va trascurato che spesso queste (in particolare quelle di
reversibilità) non sono né l’unica pensione, né l’unico reddito a
disposizione, il fenomeno della povertà tra gli anziani va sicuramente
affrontato.
In parte ciò avviene già, nella misura in cui gli
anziani poveri privi di una storia contributiva minima ricevono un
assegno sociale di 448 mensili per 13 mensilità, mentre coloro che hanno
una storia contributiva minima, ma non sufficiente a raggiungere la
pensione minima, possono ricevere una integrazione fino al minimo.
Inoltre, per coloro che hanno una pensione inferiore a una volta e mezza
il minimo (750 euro al mese, pari a 9796 annui) è prevista una
quattordicesima, ovvero una una tantum annua di importo diversificato —
da 336 a 504 euro — a seconda degli anni di contributi, ovvero
direttamente proporzionale a questi e verosimilmente inversamente
proporzionale al livello della integrazione, con la possibilità che chi
più si avvicina alla soglia riceva di più ed anche che una fetta più o
meno grande vada a chi ha redditi complessivi adeguati.
Ora il
governo, per bocca del sottosegretario Nannicini, fa balenare la
possibilità che si possa ulteriormente intervenire sulla
quattordicesima, anche se non è chiaro come e se seguendo lo stesso
criterio, che privilegia, pur trattandosi di una misura assistenziale,
la storia contributiva rispetto alla intensità del bisogno. Inoltre si
continua a tenere conto solo del reddito Irpef e non dell’Isee.
Lasciando
da parte tutte le altre osservazioni di merito, qui mi interessa
segnalare la diversa valutazione di quanto sia necessario per vivere
quando si tratta di anziani ultra sessantaquattrenni e invece di adulti
in età da lavoro e i loro figli minorenni. Da pochi giorni è possibile
per una famiglia in cui vi siano figli minori, o persone disabili, o una
donna incinta e che abbia un Reddito Isee fino a 3000 euro chiedere il
sostegno di inclusione attiva, Sia, composto da un sostegno economico e
da misure di attivazione. Il sostegno economico verrà calcolato (a
prescindere dalla distanza dalla soglia di 3000 euro Isee) in 80 euro
mensili per componente della famiglia, fino ad un massimo di 400 euro
nel caso di una famiglia di cinque componenti o più. Un Isee di 3000
euro, per una famiglia di 5 persone che non abbia risparmi o abitazione
di proprietà, equivale a circa 10.500 euro di reddito Irpef l’anno, 875
euro mensili, che fanno 175 euro a testa. Si tenga conto che la soglia
di povertà assoluta per una famiglia con due adulti e tre figli minori
che vive in un grande Comune del Nord è stimata a 1874 euro mensili,
laddove quella per un anziano solo che viva nello stesso tipo di Comune è
stimata a 748 euro mensili. In entrambi i casi, la soglia sarebbe più
alta o più bassa se si trattasse di una grande città o di un piccolo
Comune, o del Sud e del Centro rispetto al Nord, stante il diverso costo
della vita.
Pur tenendo conto di tutte le economie di scala, non
si può non constatare la difformità sia nell’identificazione delle
soglie, sia nell’importo del sostegno, a seconda che si tratti di
anziani o di adulti e minori. Nel caso degli anziani, non solo le soglie
di accesso sono molto più alte, e non si tiene conto dell’Isee ma solo
del reddito Irpef, ma anche il sostegno è più consistente. Vale per
l’integrazione al minimo, ma anche per il meno generoso assegno sociale:
486 euro al mese di reddito Irpef (equivalente a un Isee di 4830 euro
per un single, se privo di abitazione di proprietà e di risparmi) danno
accesso ad un sostegno di importo quasi equivalente, anche quando devono
bastare per una persona sola. Ed anche un reddito mensile di mille euro
dà diritto ad una parziale integrazione (oltre che alla
quattordicesima), se la pensione è inferiore al minimo. E non c’è
riferimento all’Isee.
Senza voler togliere nulla al diritto degli
anziani di avere una vita decente, e sapendo che talvolta una pensione
modesta deve bastare anche per figli e nipoti, è accettabile che vengano
utilizzati criteri così diversi per valutare quanto è necessario, di
fatto fortemente a sfavore di bambini e ragazzi?
Ricordo che sui 4
milioni e 102.000 di persone in povertà assoluta un milione e 45.000
sono minori, 590.000 sono anziani. Gli altri sono adulti in età da
lavoro, spesso con responsabilità di mantenimento di minori. Si aggiunga
che mentre tutti gli anziani aventi diritto ricevono il sostegno, senza
che venga sollevata la questione dei vincoli di bilancio, ciò non vale
per i poveri non anziani. Nel loro caso l’accesso è vincolato ai fondi
destinati al Sia e, a regime, alla nuova misura che verrà messa a punto
nel 2017. Fondi che sappiamo già essere largamente inferiori al
necessario: un miliardo a regime, quando le stime concordano su una
cifra attorno ai sette miliardi. Non a caso i regolamenti già prevedono
graduatorie tra “aventi diritto” che negano il principio stesso di
diritto esigibile.