Repubblica 12.9.16
Il ministro lancia la sua proposta sul caso
che scuote l’editoria e le città rivali: “No a due piccole fiere del
libro in un mercato fragile”. E oggi vede le parti in causa
Franceschini “Un grande Salone unico Milano-Torino”
intervista di Simonetta Fiori
«Due
piccole fiere in un mercato del libro già fragile? Così rischiamo una
colossale figuraccia internazionale. Il solo modo per uscirne è creare
un unico grande Salone, da tenersi contemporaneamente a Milano e Torino.
E chi dirà di no, senza avanzare proposte alternative, se ne assumerà
la responsabilità». È arrivato il giorno della mediazione, nella disfida
libraria tra Torino e Milano. E ora il ministro Dario Franceschini
ricostruisce la vicenda dal suo osservatorio. Una vicenda con tratti
paradossali, talvolta poco nobili, che questa mattina planerà sul tavolo
intorno al quale siedono per la prima volta tutti i protagonisti del
pasticciaccio. L’associazione degli editori, l’Aie, che ha rotto con la
Fondazione torinese
per dare vita a una propria fiera a Milano. La
Fondazione del Libro che è stata abbandonata dagli editori grandi, ma
non dai piccoli e dai medi pronti a dare battaglia. I sindaci delle due
città coinvolte, Sala e Appendino. I presidenti delle due Regioni. E
naturalmente i titolari dei due ministeri coinvolti, il Mibact e il
Miur.
Ministro Franceschini, come se ne esce?
«C’è un’unica possibilità, ma prima di illustrarla vorrei fare una piccola premessa».
Prego.
«Siamo
tra i paesi che leggono meno in Europa, con un mercato del libro
piccolo e fragile rispetto a quelli di altre realtà. Un mercato che deve
essere allargato e a questo ha puntato il nostro lavoro: unire anziché
dividere, fare sistema. L’ultimo passo è stato entrare come ministeri
nella Fondazione torinese del Salone del Libro, nel febbraio scorso. Un
segnale dell’investimento del pubblico al fianco dei privati, per il
libro e la promozione della lettura».
E gli editori l’hanno ripagata uscendo dalla Fondazione e facendo una fiera per conto loro.
«
Diciamo che l’Aie non ha dato prova del massimo garbo nei confronti
delle istituzioni. Il Mibact e il Miur entrano nella Fondazione in
febbraio. Pochi mesi dopo l’Aie annuncia di voler fare una fiera a
Milano, praticamente a cose fatte. Quando a luglio c’è stata la
votazione dentro il consiglio dell’Aie — votazione favorevole all’uscita
dalla Fondazione torinese — gli editori hanno detto che in realtà la
decisione era stata già presa a febbraio: ma se avevano già deciso, a
cosa sono serviti gli incontri successivi? » .
Poi la settimana
scorsa l’ultimo schiaffo: la presentazione della nuova società La
Fabbrica del Libro — e delle date della nuova fiera milanese, a ridosso
del salone torinese — pochi giorni prima del suo tentativo di
mediazione.
« Ripeto: ci poteva essere un atteggiamento diverso
dal momento che dovremo continuare a collaborare per la promozione della
lettura, ma faccio finta di non aver visto. Ora dobbiamo lavorare
insieme su come evitare una straordinaria figuraccia internazionale.
Intendiamoci, so benissimo che si tratta di una fiera, dunque di
un’attività di impresa, quindi né io né la ministra Giannini vogliamo
interferire. Però dobbiamo porci il problema: che figura ci facciamo
rispetto alla Fiera di Francoforte o alla Fiera di Londra? Noi avevamo
un Salone certo più piccolo ma che da trent’anni gode di buona fama in
Europa. Un brand nazionale riconosciuto che ora improvvisamente viene
indebolito dalla nascita di un’altra fiera, fissata solo quattro
settimane prima e a centocinquanta chilometri di distanza. Se da fuori
ci guardano — e le assicuro che ci guardano — cosa vedono? Un mercato
piccolo, fragile, incredibilmente diviso tra due saloncini in
competizione tra loro. Dobbiamo tornare Uno scenario surreale.
«Uno scenario assolutamente da evitare, anche perché rischiamo di patirne le conseguenze per diversi anni».
In che modo si può evitare?
«
È quello che cercheremo di dire domattina ( ndr stamattina per chi
legge) all’associazione degli editori, ma che vorrei ascoltassero
direttamente gli editori più grandi, a cominciare da Mondadori: chi è
più grande deve infatti assumersi le responsabilità maggiori. Evitiamo
una lotta tra città. E troviamo il modo di fare un salto di qualità, che
non si limiti a differenziare i temi dei saloni. Può essere una strada
anche quella: distanziarli nel tempo, con caratterizzazioni culturali
diverse. Ma si può fare molto di più » .
Qual è la sua proposta?
«Un
unico salone internazionale del libro del sistema paese. Una grande
fiera che unisca contemporaneamente Milano e Torino, con una stessa
governance e dunque una stessa società: poi le formule giuridiche si
trovano. Se si optasse per questa soluzione, i due ministeri potrebbero
parteciparvi anche con un impegno finanziario più forte».
A quanto ammonterebbe?
«Non ne abbiamo ancora parlato, ma potrebbe essere una cifra importante».
Chi guida la società?
«La
governance sarebbe affidata agli editori, i ministeri avrebbero il
ruolo di azionisti. Quindi penso a una fiera che non sia soltanto degli
editori, perché questo è il limite che io fatico a capire in questi
giorni: gli editori sono il cuore del mercato dei libri, ma un salone
deve coinvolgere anche librerie, biblioteche, scuole. In altre parole,
dovrebbe includere tutto il mondo del libro che in una mescolanza di
pubblico e privato può dare vita a una fiera competitiva in Europa».
Ma come realizza un’unica fiera tra Milano e Torino? Ha pensato a una diversificazione di temi e di proposte tra le due città?
«C’è
un precedente che è il festival musicale Mi-To. Quanto alla
diversificazione degli spazi, non spetta al ministro, ma all’unica
società che gestirà il Salone: capisce però che c’è una bella differenza
tra una soluzione che prevede un gentlemen’s agreement tra due società
diverse e fatalmente in competizione tra loro e l’istituzione di
un’unica governance che decida cosa fa Milano e cosa fa Torino. La prima
soluzione mi appare un rimedio, la seconda un salto di qualità».
E sul piano logistico?
«Ne
ho già parlato con l’amministratore delegato delle Ferrovie dello
Stato, Renato Mazzoncini: ci sono già diciassette treni Frecciarossa tra
la fiera di Rho e la stazione di Porta Susa che potrebbero allungare di
pochi minuti la corsa fino alla fermata del Lingotto. In tutto
trentasette minuti, ossia il tempo che si impiega per andare da una
parte all’altra di una fiera. Il collegamento tra Milano e Torino
potrebbe diventare una parte dello stesso evento. E si studia la
soluzione di un biglietto integrato che valga per il treno e l’ingresso
al Salone».
Pensa che l’Aie accetterà?
«Non lo so. Vedo che
molte cose sono state fatte indipendentemente dall’interesse del paese.
Nelle scelte non dovrebbe contare solo l’aspetto commerciale ».
Il
presidente dell’Aie, Federico Motta, ha inviato una lettera a tutti gli
editori in cui spiega meti- colosamente il vantaggio mercantile della
Fiera di Rho: nessun accenno alle ragioni culturali.
«I costi non
rappresentano l’unico elemento. E, come ho già detto, se passa la
formula del salone unico aumenterà l’impegno del governo».
A
proposito di costi: va detto che quella torinese è stata una cattiva
gestione, con l’affidamento dell’organizzazione alla GL Events per cifre
spropositate. Lei come lo spiega?
« Noi non c’eravamo ancora,
quindi non ne vorrei parlare. Ma vorrei ricordare che noi siamo entrati
proprio per segnare un cambio di passo, nella governance e nella
trasparenza. L’Aie lo sapeva perfettamente: non l’abbiamo fatto di
nascosto » .
Se le dicono di no, voi restate a Torino?
«Ma
certo: ci siamo appena entrati. Noi questa situazione non l’abbiamo
voluta ma subita: su questo non ci possono essere equivoci. A quel punto
ci adopereremmo per rafforzare il Salone torinese. E chi dice no, senza
avanzare proposte alternative, si assume la responsabilità di dividere
un mercato già debole. Poi alla fine tracceremo un bilancio».