sabato 10 settembre 2016

Repubblica 10.9.16
Quando il gioco non vale la candela
di Tomaso Montanari

Non esistono dogmi: tutto si può spostare, perfino le architetture possono essere smontate e impacchettate. Il punto è il rapporto rischi-benefici: ogni opera è un pezzo unico, e ogni spostamento comporta un rischio che non può essere portato a zero. Dunque si tratta di decidere, volta per volta, se vale la pena di correre quel rischio.
Per deciderlo occorre valutare innanzitutto la serietà e l’importanza della mostra: le opere chiave di Raffaello e Michelangelo vengono ormai chieste in prestito molte volte all’anno, e la selezione diventa vitale, sia per proteggere le opere, che per proteggere chi vede quel museo magari una volta nella vita, e ha diritto di trovarci le opere che ne formano l’identità. Si potrebbe, certo, valutare il rischio di prestare i ritratti dei coniugi Doni ad una grande mostra di Raffaello creata in anni di ricerca, capace di innovare in modo radicale gli studi e di aumentare in misura davvero significativa la conoscenza dell’artista presso il grande pubblico: ma la mostra di Mosca è lontanissima da questo standard. È stata voluta dalla politica e improvvisata dalla diplomazia: il tutto in un lasso di tre mesi.
Un bel libro recente racconta in dettaglio la stagione in cui questo tipo di mostre politiche è stato inventato: era il Fascismo, e quel libro si intitola (guarda un po’) Raffaello on the road. Per promuovere quella del 1930 a Londra, gremita di incredibili capolavori che solo per un soffio non affondarono nella Manica, Mussolini scrisse che la mostra era «un segno portentoso dell’eterna vitalità della razza italiana ». Oggi naturalmente non si pensa che le opere d’arte siano ambasciatori della «razza italiana»: ma si dice apertamente che esse devono promuovere il made in Italy, o il brand Italia. Ma sappiamo che la cultura non può e non deve essere usata così. Oggi pensiamo che debbano essere i musei e i ricercatori a concepire e strutturare le mostre: per produrre conoscenza, e non propaganda, o marketing. E infatti i governi francesi, tedeschi o americani si guardano bene dall’usare il loro patrimonio culturale in questo modo, e sono attentissimi a rispettare l’autonomia scientifica dei musei: unica garanzia della libertà di chi visita le mostre.
Invece, in Italia, la recente riforma dei musei ha dato troppo potere alla politica: se il direttore degli Uffizi commette l’errore fatale di mettere a rischio opere come queste, contro il parere esplicito dell’Opificio delle Pietre Dure, è perché questa mostra è frutto di un accordo firmato dallo stesso governo che l’ha nominato, e che potrebbe non confermarlo a fine mandato. È un gioco di ambizione e di potere fatto sulla pelle di Raffaello, e dei cittadini a cui quei quadri appartengono. È una brutta, vecchia storia: tutto il contrario di una modernizzazione.