martedì 27 settembre 2016

pagina 99 25.09.2016
gli atenei tedeschi liberi dai baroni
di Stefano Casertano

Le sezioni jobs delle università tedesche ricordano quelle delle aziende: offerta
di posti con descrizione dell’impiego e del salario. Le posizioni partono dai
lavori per studenti come assistenti di cattedra: 20 ore a settimana (che possono
diventare oltre 37 durante i periodi senza lezioni), retribuite con circa 9 euro
l’ora, oltre a benefici per vacanze e malattia. Gli atenei attivano qui anche
le selezioni per i dottorandi, che vengono vengono
scelti dai professori titolari dei corsi.
Le istituzioni superiori sono indipendenti anche nella selezione dei professori:
pure per loro vengono pubblicati annunci con le necessità di personale e
s’invitano i candidati a inviare il materiale.
La selezione è curata da comitati interni alle università.
La retribuzione di un ricercatore universitario è stabilita in base a un tariffario
pubblico. La collocazione normale è il livello “13” di un contratto nazionale
diversificato in base alla regione di appartenenza (l’est è meno caro, per questo
il salario base è leggermente più basso).
Un neo-ricercatore post-dottorato può percepire così circa 3.400 euro al
mese, che possono arrivare anche a 4.500 in base all’anzianità – mentre in
Italia il primo stipendio di un ricercatore è di circa 1.850 euro al mese. I professori
tedeschi possono appartenere a tre categorie: W1, W2 e W3 – con stipendi
mensili che variano da 4.105 euro per un W1 di prima fascia, fino a 6.500 euro per
un W3 di terza fascia. A questo si aggiunge un bonus in base ai risultati.
Così la Germania è il paradiso della ricerca?
Al di là delle apparenze, probabilmente no. La strada per la cattedra
secondo il percorso tradizionale è lunga e difficile. Il dottorato di ricerca è la base,
e vi si accede dopo una laurea e un master. Si può ottenere per “chiamata
diretta”da parte di un professore che accetta la candidatura di uno studente, e
questi deve sviluppare una tesi di dottorato che richiede normalmente tre anni
di lavoro. Le borse di studio sono erogate dalle singole università, da una fondazione
o da un ente centrale di ricerca che gestisce i fondi, la Deutsche Forschungsgemeinschaft.
Completato il dottorato, la strada normale prevede un periodo da post-
doc (ricercatore) che può esprimersi anche con un’ “abilitazione” (simile alla
libera docenza” italiana), una forma più evoluta di dottorato di ricerca. Si
noti che per avere accesso a questo gradino è comunque necessario un dottorato
di ricerca con voto minimo di “magna cum laude”, appena sotto il massimo
di “summa cum laude”. Al completamento dell’abilitazione ci si può candidare
normalmente per una posizione da professore W1.
Il problema, compreso da tempo, è che tutta questa trafila formativa porta
ad abilitazioni ottenute a quarant’anni.
Inoltre, anche la Germania non è immune dalle baronie –per questo la selezione
fatta di tesi su tesi finisce per essere una corsa alla cordata cattedratica.
L’assistente studentesco ha accesso al dottorato, che apre la strada all’abilitazione, che poi porta al professorato.
Inoltre, visto che gli alti stipendi sono erogati tramite i budget universitari,
spesso le offerte riguardano “part-time” fittizi a metà stipendio.
Alcune riforme hanno quindi portato a vie alternative. Sono state attivate
scuole di dottorato” sul modello americano, con corsi strutturati e accesso
aperto, basato su candidature. Anche lo strumento dell’abilitazione è in disuso:
non è più requisito essenziale per l’approdo alla cattedra. L’abilitazione
può essere sostituita dalla normale ricerca o dalla partecipazione a un progetto
di particolare importanza, possibilmente con un ruolo di rilievo. Si è
aperta poi la porta agli “Junior professor”, equiparati alla categoria W1. La
posizione dura tre anni ed è rinnovabile per altri tre, prima che intervenga
una valutazione finale per un contratto definitivo come professore W1 (e in
alcuni casi direttamente W2).
L’indipendenza delle università e delle cattedre ha portato inoltre a fenomeni
poco invidiabili in passato: «Germanocentrica, sessita e immobile», definisce
il settore una ricercatrice italiana in filosofia a Berlino. «Una volta il professore
a capo del dipartimento mi ha preso da parte», continua la donna, «e
mi ha detto “lei in quanto donna e in quanto italiana qui in filosofia in Germania
ha poco da cercare».
Non sono fantasie: in Germania ci sono in totale circa 45 mila professori (tra
università e istituti di formazione superiore) di cui l’80% uomini, mentre appena
il 6,4% del totale è rappresentato da stranieri –inclusi i docenti in facoltà linguistiche
o religioso/culturali. Peraltro, il gruppo più nutrito di docenti stranieri
è austriaco (erano 565 nel 2013), seguito poco sorprendentemente dagli svizzeri
(317). Ciò significa che in tutta la Germania ci sono meno di duemila cattedre
occupate da docenti non nati in un territorio di lingua tedesca.
I dati sono in miglioramento, ma la base di partenza è tale da non lasciare
spazio a ottimismo nel breve termine. Le porte allo straniero sembrano aprirsi
soprattutto per le facoltà scientifiche, ma –almeno per ora–l’accesso ai piani
alti dell’accademia è precluso.
Gli stipendi da ricercatore sembrano però attrarre un folto numero di
italiani. Secondo una ricerca pubblicata da Matteo Pardo, addetto scientifico
dell’ambasciata Italiana a Berlino, i compatrioti attivi nella ricerca tedesca
nel 2013 erano 2.589. Ma fino a dove arriveranno?