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99 25.09.2016
gli
atenei tedeschi liberi dai baroni
di
Stefano Casertano
Le
sezioni jobs delle università tedesche ricordano
quelle delle aziende: offerta
di
posti con descrizione dell’impiego
e del salario. Le posizioni partono dai
lavori
per studenti come assistenti di cattedra:
20 ore a settimana (che possono
diventare
oltre 37 durante i periodi senza
lezioni), retribuite con circa 9 euro
l’ora,
oltre a benefici per vacanze e malattia.
Gli atenei attivano qui anche
le
selezioni per i dottorandi, che vengono vengono
scelti
dai professori titolari dei corsi.
Le
istituzioni superiori sono indipendenti anche
nella selezione dei professori:
pure
per loro vengono pubblicati annunci con
le necessità di personale e
s’invitano
i candidati a inviare il materiale.
La
selezione è curata da comitati interni
alle università.
La retribuzione
di un ricercatore universitario è
stabilita in base a un tariffario
pubblico.
La collocazione normale è il
livello “13” di un contratto nazionale
diversificato
in base alla regione di appartenenza (l’est
è meno caro, per questo
il
salario base è leggermente più basso).
Un
neo-ricercatore post-dottorato può
percepire così circa 3.400 euro al
mese,
che possono arrivare anche a 4.500
in base all’anzianità – mentre in
Italia
il primo stipendio di un ricercatore è
di circa 1.850 euro al mese. I professori
tedeschi
possono appartenere a tre categorie:
W1, W2 e W3 – con stipendi
mensili
che variano da 4.105 euro per un W1
di prima fascia, fino a 6.500 euro per
un
W3 di terza fascia. A questo si aggiunge un
bonus in base ai risultati.
Così
la Germania è il paradiso della ricerca?
Al
di là delle apparenze, probabilmente no.
La strada per la cattedra
secondo
il percorso tradizionale è lunga e
difficile. Il dottorato di ricerca è la base,
e
vi si accede dopo una laurea e un master.
Si può ottenere per “chiamata
diretta”da
parte di un professore che accetta la
candidatura di uno studente, e
questi
deve sviluppare una tesi di dottorato che
richiede normalmente tre anni
di
lavoro. Le borse di studio sono erogate dalle
singole università, da una fondazione
o
da un ente centrale di ricerca che
gestisce i fondi, la Deutsche Forschungsgemeinschaft.
Completato
il dottorato, la strada normale
prevede un periodo da post-
doc
(ricercatore) che può esprimersi anche
con un’ “abilitazione” (simile alla
“libera
docenza” italiana), una forma più
evoluta di dottorato di ricerca. Si
noti
che per avere accesso a questo gradino è
comunque necessario un dottorato
di
ricerca con voto minimo di “magna cum
laude”, appena sotto il massimo
di
“summa cum laude”. Al completamento dell’abilitazione
ci si può candidare
normalmente
per una posizione da
professore W1.
Il
problema, compreso da tempo, è che
tutta questa trafila formativa porta
ad
abilitazioni ottenute a quarant’anni.
Inoltre,
anche la Germania non è immune dalle
baronie –per questo la selezione
fatta
di tesi su tesi finisce per essere una
corsa alla cordata cattedratica.
L’assistente
studentesco ha accesso al dottorato,
che apre la strada all’abilitazione, che poi porta al
professorato.
Inoltre,
visto che gli alti stipendi sono erogati
tramite i budget universitari,
spesso
le offerte riguardano “part-time” fittizi
a metà stipendio.
Alcune
riforme hanno quindi portato a
vie alternative. Sono state attivate
“scuole
di dottorato” sul modello americano, con
corsi strutturati e accesso
aperto,
basato su candidature. Anche lo
strumento dell’abilitazione è in disuso:
non
è più requisito essenziale per l’approdo
alla cattedra. L’abilitazione
può
essere sostituita dalla normale ricerca o
dalla partecipazione a un progetto
di
particolare importanza, possibilmente con
un ruolo di rilievo. Si è
aperta
poi la porta agli “Junior professor”, equiparati
alla categoria W1. La
posizione
dura tre anni ed è rinnovabile per
altri tre, prima che intervenga
una
valutazione finale per un contratto definitivo
come professore W1 (e in
alcuni
casi direttamente W2).
L’indipendenza
delle università e delle cattedre
ha portato inoltre a fenomeni
poco
invidiabili in passato: «Germanocentrica, sessita
e immobile», definisce
il settore
una ricercatrice italiana in
filosofia a Berlino. «Una volta il professore
a
capo del dipartimento mi ha preso
da parte», continua la donna, «e
mi
ha detto “lei in quanto donna e in quanto
italiana qui in filosofia in Germania
ha
poco da cercare».
Non
sono fantasie: in Germania ci sono in
totale circa 45 mila professori (tra
università
e istituti di formazione superiore) di
cui l’80% uomini, mentre appena
il
6,4% del totale è rappresentato da stranieri
–inclusi i docenti in facoltà linguistiche
o
religioso/culturali. Peraltro, il gruppo
più nutrito di docenti stranieri
è
austriaco (erano 565 nel 2013), seguito poco
sorprendentemente dagli svizzeri
(317).
Ciò significa che in tutta la Germania ci
sono meno di duemila cattedre
occupate
da docenti non nati in un territorio di
lingua tedesca.
I
dati sono in miglioramento, ma la base
di partenza è tale da non lasciare
spazio
a ottimismo nel breve termine. Le
porte allo straniero sembrano aprirsi
soprattutto
per le facoltà scientifiche, ma
–almeno per ora–l’accesso ai piani
alti
dell’accademia è precluso.
Gli
stipendi da ricercatore sembrano però
attrarre un folto numero di
italiani.
Secondo una ricerca pubblicata da
Matteo Pardo, addetto scientifico
dell’ambasciata
Italiana a Berlino, i
compatrioti attivi nella ricerca tedesca
nel
2013 erano 2.589. Ma fino a dove
arriveranno?