venerdì 30 settembre 2016

La Stampa 30.9.16
“Il Sudan usa armi chimiche per uccidere i civili nel Darfur”
di Lorenzo Simoncelli

L’incubo delle armi chimiche si riaffaccia in Darfur, la regione sud-occidentale del Sudan martoriata da un conflitto che in 13 anni ha causato centinaia di migliaia di vittime.
Da gennaio, secondo un rapporto di Amnesty International, il presidente al-Bashir, accusato nel 2009 dalla Corte penale Internazionale di crimini di guerra proprio per il genocidio in Darfur del 2004, avrebbe ripreso a bombardare i ribelli dell’Esercito di Liberazione del Sudan con bombe chimiche. Grazie ad alcune riprese satellitari, visto il divieto d’accesso a giornalisti e operatori umanitari nella regione voluto dal governo centrale di Khartum, Amnesty International è riuscita a documentare almeno una trentina di attacchi concentrati sulle montagne di Jebel Marra.
Bombe e razzi a base di mostarda solforosa, uno dei più nocivi agenti chimici, vietato da oltre dieci anni. Sostanze in grado di distruggere il corpo umano causando sofferenze atroci prima della morte. I bambini i più colpiti. Secondo l’ong internazionale che lotta per la difesa dei diritti umani ne sarebbero morti per problemi respiratori tra 200 e 250, centinaia i feriti e gli ustionati. «È difficile trovare le parole per descrivere la dimensione e la brutalità di questi attacchi. Le immagini che abbiamo esaminato nel corso delle nostre ricerche sono sconvolgenti: un bambino che piange dal dolore prima di morire; altri pieni di ferite; altri ancora che non riescono a respirare o che vomitano sangue», ha affermato Tirana Hassan, direttrice della Ricerca sulle crisi di Amnesty International.
Un’offensiva su larga scala operata via cielo dall’esercito sudanese e via terra dai Janjaweed, squadroni della morte fedelissimi al presidente al-Bashir, capaci di sterminare interi villaggi del Darfur, rei di appoggiare i ribelli dell’Esercito di liberazione del Sudan. Una spirale di violenza incessante possibile grazie all’ennesima vittoria di al-Bashir nelle ultime presidenziali e alla decisione degli Stati africani di violare il Trattato di Roma, non arrestando il capo di Stato una volta varcati i confini nazionali come avvenuto in Sudafrica nel giugno 2015 a margine del summit dell’Unione africana.
Il portavoce del governo di Khartum ha rispedito al mittente le accuse di Amnesty International, accusando l’Ong internazionale di aver creato un’indagine faziosa intervistando solo i ribelli. Alla fine di luglio, secondo stime delle Nazioni Unite, 250 mila persone sono fuggite dall’area di Jebel Marra dirigendosi verso Nord dove è basata la missione di pace sotto egida Onu ed Unione Africana, incapace fino ad oggi di fermare i massacri. Con la comunità internazionale impegnata a risolvere l’altro fronte caldo del Sud Sudan, il rischio è che come 13 anni fa il Darfur sia dimenticato ancora una volta.