La Stampa 25.9.16
I figli del paradiso, gli iraniani travolti dalla loro rivoluzione
Laura Secor racconta la storia del movimento riformista attraverso le vite drammatiche di alcuni giovani protagonisti
di Claudio Gallo
La
rivoluzione islamica del 1979 in Iran fu uno scacco alla scienza
politica occidentale. Guidata soprattutto dai mullah in nome del ritorno
a un passato ideale, cancellò una società che stava modernizzandosi
secondo il modello occidentale, anche se con metodi brutali e lasciando
le masse fuori del centro dorato del sistema. Il ruolo della
«sovrastruttura» religiosa sembrava scardinare l’analisi marxista dei
rapporti di produzione e del corso lineare della storia. Ma era pur
sempre una lotta dei diseredati contro un regime dispotico e paranoico
sostenuto dagli Stati Uniti a cui partecipava anche la sinistra
tradizionale insieme con molti liberali. Chi arrivava allora a Teheran
dal «primo mondo» credeva di entrare in un laboratorio dove qualcosa di
nuovo e ancora imprevedibile stesse nascendo. Falene attratte dal fuoco,
intellettuali occidentali di destra e sinistra correvano a benedire la
rivoluzione. L’entusiasmo travolse un filosofo della statura di Michel
Foucault.
Abbastanza in fretta però, la varietà e la complessità
delle correnti che erano confluite nel fiume rivoluzionario furono
sopraffatte o assorbite dall’elemento islamico. Niente più citazioni di
Popper, allora uno degli autori più letti. Khomeini, leader
incontrastato, distillò nel concetto di «velayat-e faqih», il governo
dei giuristi islamici, quasi una versione sciita della Repubblica di
Platone che divenne il nerbo della nuova costituzione.
La
rivoluzione conobbe presto il suo Terrore: legioni di oppositori interni
e esterni furono massacrati senza pietà e senza processo. Anche i
rivoluzionari che costituivano la «sinistra» islamica (molti di loro
avevano preso parte all’assalto dell’ambasciata americana) furono
progressivamente zittiti, specialmente dopo la morte di Khomeini. L’Imam
era l’unico in grado di mediare tra le diverse anime, il suo successore
Khamenei si schierò di fatto con i conservatori. I più lasciarono la
politica per la cultura, l’insegnamento, la società.
Connaturata
allo sciismo e all’anima persiana, la passione di combattere
l’ingiustizia è una ferita che non si rimargina. Molti di quegli uomini
non restarono a lungo nell’ombra, tornarono alla politica creando quello
che oggi si chiama movimento riformista. Ripercorre con perizia
narrativa la loro storia fino agli anni dell’Onda Verde, una giornalista
americana veterana dell’Iran (New Yorker, New York Times...) Laura
Secor, nel suo Children of Paradise,The Struggle for the Soul of Iran
(Riverhead Books): I figli del paradiso, la lotta per l’anima dell’Iran.
Nonostante
l’ottimo apparato di note, il libro non è un saggio ma intreccia le
storie drammatiche di una decina di personaggi che hanno avuto un ruolo,
anche se non di primo piano, nella galassia riformista fin dai tempi
della presidenza Rafsanjani.
Le vite dei protagonisti si mescolano
e si separano attraverso alcuni snodi cruciali della storia recente
della Repubblica islamica, fili di un tappeto rosso sangue: gli omicidi a
catena degli intellettuali, la repressione del movimento studentesco
nel 1999, l’arresto dei blogger, la distruzione dell’Onda Verde di
Mousavi e Karroubi. Senza l’irripetibile carisma di Khomeini, la nuova
Guida Suprema ha cercato di preservare il «velayat-e faqih» attraverso
un’alleanza con la destra radicale, tra le cui file c’era gente pronta a
torturare e uccidere gli oppositori interni, nonostante fossero tutti
fedeli dello stesso Dio «Clemente e Misericordioso». Ma, come scrive la
Secor: «Uno dei deliziosi paradossi della Repubblica islamica è la sua
capacità apparentemente infinita di produrre un’opposizione al proprio
autoritarismo». La lotta per l’anima dell’Iran non finisce mai.