La Stampa 25.9.16
Il premier e la flessibilità
Ecco il piano B con la Ue per avere 10 miliardi
Con una clausola sulle emergenze il governo cerca di strappare il sì
di Alessandro Barbera
Con
una certa dose di malizia intellettuale al Tesoro lo definiscono «il
ritorno alle origini»: le origini della moneta unica. La soluzione
scelta da via XX settembre per rompere il muro di fronte al quale è
andata a sbattere la nuova richiesta di flessibilità all’Europa risale
al Trattato di Maastricht. Si chiama «clausola per le circostanze
eccezionali», ed è quella con cui il governo sta cercando di convincere
la Commissione guidata da Jean Claude Juncker a portare il deficit
dell’anno prossimo dall’1,8 indicato la scorsa primavera fino al 2,3 per
cento necessario a finanziare la manovra immaginata fin qui. Dieci
miliardi di euro: non pochi per un governo il cui debito pubblico non
accenna a scendere, probabilmente non abbastanza per far naufragare la
trattativa. «Non faremo nuove richieste di flessibilità», dice spesso
Pier Carlo Padoan. E in effetti le due eccezioni alle regole imposte dal
Patto di Stabilità, quelle per le riforme e gli investimenti, sono
state accantonate fra le proteste italiane. Juncker avrebbe voluto
concederle ogni anno in nome delle riforme approvate, un voto successivo
dell’Ecofin a trazione tedesca - la plenaria dei ministri delle finanze
dei 28 - ha sancito che no, quelle clausole possono essere fatte valere
solo una tantum. Così Padoan, fedele al principio “nulla fuori delle
regole” ha sfoderato l’ultima carta.
Le ragioni presentate a
Bruxelles sono tre. La prima: i costi per gestire l’emergenza migranti.
Questo è un punto sul quale gli sherpa italiani battono il chiodo
dall’inizio dell’anno: il governo argomenta che le spese sostenute
dall’inizio della crisi sono ben superiori a quelli fin qui
riconosciute. Una tabella allegata all’ultimo documento di economia e
finanza disegna una curva in costante crescita: un miliardo nel 2011,
uno e mezzo nel 2012, 1,6 nel 2013, 2,5 nel 2014, quasi 3,5 nel 2015. In
queste ore la trattativa fra Padoan e il commissario agli Affari
monetari Pierre Moscovici su quanto riconoscere nel 2017 oscilla attorno
ai tre miliardi. Poi c’è la questione delle spese per la ricostruzione
delle aree terremotate: l’Italia chiede di ottenere uno sconto non
inferiore ai due miliardi. Anche qui le regole dicono cose piuttosto
precise: l’esclusione dal patto di Stabilità dovrebbe riguardare solo le
spese per l’effettiva emergenza, ma dalle parole di Renzi si capisce
che la battaglia è per ottenere di più. Quando parla dell’importanza di
dare stabilità «alle scuole e ai figli più che alle burocrazie
comunitarie» è perché vuole far rientrare nello sconto anche quanto
necessario alla ricostruzione degli edifici pubblici. Infine c’è il
capitolo sicurezza, legato sia alla gestione dei migranti che alla lotta
al terrorismo. In tutto fanno 6,5 miliardi, ai quali però il Tesoro ha
aggiunto due postille. Una è la mancata approvazione della riforma del
cosiddetto «prodotto potenziale», un meccanismo che penalizza l’Italia e
per la quale il governo ha il sostegno di ben sette Paesi dell’area
euro. Su questo la Commissione ha già fatto sapere che in attesa delle
nuove modalità ne terrà conto «con intelligenza». L’altro escamotage che
avvicina lo sconto ai dieci miliardi è l’aumento del deficit per il
2017 per via della minor crescita di quest’anno: se l’impegno a
primavera era di fermarsi all’1,8 per cento, ora nella bozza della nota
di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) c’è scritto
che l’Italia non riuscirebbe in ogni caso a garantire un indebitamento
inferiore al due.
A questo punto la gran parte dei lettori sarà
ampiamente annoiata, ma attorno a queste complicate alchimie Renzi si
gioca la qualità della prossima manovra e la sopravvivenza nelle stanze
di Palazzo Chigi fino alle prossime elezioni. Anche ieri fra i
protagonisti della trattativa ci sono stati lunghi contatti. Le distanze
sono minime e prevale l’ottimismo per un accordo entro lunedì sera,
quando il consiglio dei ministri approverà i numeri aggiornati sullo
stato dei conti pubblici.