La Stampa 22.9.16
“Noi, orfani dei femminicidi con la paura addosso e senza aiuti statali”
di Maria Corbi
Un
 esercito di minori che vive in un limbo di negazione. Sono gli orfani 
del femminicidio, bambini e bambine, ma anche adolescenti, ragazzi, che 
spesso assistono all’omicidio della madre e che da quel momento perdono 
non solo l’amore più grande, la sicurezza, la casa, ma anche se stessi. E
 per ritrovarsi, per riacquistare fiducia nel futuro, è una lunga 
marcia. Al loro fianco nonni, zii, altre volte famiglie affidatarie. 
Spesso però finiscono in istituti. Sono 1628 secondo i dati raccolti da 
Anna Costanza Baldry, psicologa della Seconda Università degli studi di 
Napoli per il progetto europeo «Switch-off», ossia spento. Come lo 
sguardo di quelle che vengono chiamate «vittime collaterali» e che 
vengono subito dimenticate.
Lo studio ha voluto indagare il 
«dopo», quando le luci della cronaca nera sono spente e per questi 
bambini inizia un nuovo capitolo, senza più la madre e anche il padre, 
morto suicida o rinchiuso in un carcere. L’81% di questi minori era 
presente durante l’omicidio della madre. «Sono bambini che subiscono, 
oltre al lutto, traumi equivalenti a quelli di una guerra e di un 
terremoto - spiega la professoressa Baldry - Molti di loro prima del 
“fatto” hanno convissuto con la violenza, perché il femminicidio non è 
mai un raptus. Perdono la madre, ma anche la loro casa, i loro punti di 
riferimento».
Il 59% di loro trova accoglienza in famiglia, da 
nonni e zii materni, il 9% dalla famiglia paterna, il 7% viene accudito 
dai fratelli più grandi. Un quarto di loro invece finisce in affido 
extraparentale. Perché spesso i familiari non possono permettersi 
economicamente di tenerli con sé. E devono rinunciare.
Le cose in 
Italia funzionano così: una comunità che accoglie un bambino in affido 
riceve dai 2 mila ai 6 mila euro al mese. Una famiglia senza legami di 
parentela con il bambino ne riceve dai 500 ai 1000. I parenti entro il 
quarto grado possono al massimo ricevere 350 euro, in maniera 
discrezionale e a seconda delle regioni dove vivono. Spesso non hanno 
nulla. E ieri, a denunciare questo paradosso alla Camera dei Deputati, 
durante il convegno per la presentazione dello studio Switch-off, c’era 
Agnese, zia affidataria dei bambini della sorella Silvana, uccisa dal 
marito nel 2014, a Fossano. «I miei nipoti sono la gioia della mia vita,
 non ho mai avuto dubbi su cosa fosse giusto fare - dice -. Non parlo 
per me, ma avendo dovuto affrontare questo cammino con loro, so cosa 
vuol dire crescere dei bambini feriti, che non trovano pace, che non 
dormono tranquilli, che hanno paura che loro padre esca dal carcere e li
 uccida. Il loro mondo è stato stravolto. Hanno bisogno di amore ma 
anche di un supporto psicologico e di aiuti di professionisti. Anche 
nella loro vita scolastica. E sono tutte cose che costano, ma quando 
chiedi una mano al pubblico ti rispondono sempre che non ci sono fondi».
La
 Garante nazionale per l’infanzia e adolescenza, Filomena Albano, ha 
sottolineato come sia fondamentale per «ricostruire una rete familiare e
 sociale di riferimento a questi orfani “speciali”, prevedere un 
sostegno adeguato anche di carattere giuridico ed economico». «Penso ad 
esempio all’istituzione di un fondo economico nazionale per gli orfani 
di femminicidio, al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dalle 
condizioni di reddito».
Secondo la Garante occorre anche 
«intervenire sull’istituto dell’indegnità a succedere per evitare che, 
nonostante la gravità del delitto, il genitore colpevole possa 
concorrere all’eredità del coniuge a danno dei figli, e prevedere 
l’applicazione automatica di questo istituto in caso di sentenza 
definitiva di condanna per omicidio del coniuge».
 
